Economia
Marica Ricutti: perché il giudice ha dato ragione a IKEA sul licenziamento della madre lavoratrice
neXtQuotidiano 04/04/2018
Le motivazioni della sentenza del giudice del lavoro: «Non c’è stata discriminazione e l’azienda ha ‘perdonato’ dopo il primo episodio»
Il caso di Marica Ricutti nel novembre 2017 fece irruzione su Internet scatenando accuse pesanti nei confronti di IKEA, che la multinazionale del mobile aveva rintuzzato all’epoca contestando la versione fornita dai sindacati e dalla lavoratrice sulle motivazioni dell’interruzione del rapporto di lavoro. All’epoca i colleghi di Corsico scioperarono in solidarietà, mentre la sottosegretaria al Welfare Teresa Bellanova e la leader della CISL Anna Maria Furlan si schierarono con lei. La donna aveva accettato il cambiamento di reparto nel punto vendita alle porte di Milano, chiedendo che il gruppo svedese le andasse incontro per gli orari. Poi si era presentata in due occasioni in orari di lavoro diversi da quelli concordati. La donna è madre di due bambini, di cui uno disabile.
All’epoca centinaia di commenti negativi si riversarono sulla pagina fan italiana di IKEA, a cui veniva contestata l’incapacità di comprendere la situazione difficile di Marica Ricutti.
Oggi le motivazioni con cui il giudice del lavoro ha dato ragione alla multinazionale del mobile raccontano una storia in parte diversa: il giudice del lavoro Silvia Ravazzoni etichetta la cacciata come legittima, affatto discriminatoria, proporzionata e giustificata — si legge nelle undici pagine della sentenza di primo grado — da «insubordinazione e grave violazione dell’obbligo di attenersi alle direttive del datore di lavoro». La giudice ha considerato i due episodi dei turni svolti con il vecchio orario e l’abbandono della cassa all’ora di pranzo (Ricutti lavorava nel reparto food), con l’autodeterminazione dell’orario di lavoro considerato, com’è ovvio, come colpa grave. Ravazzoni ha anche sostenuto che l’azienda ha dato una seconda chance alla lavoratrice dopo il primo episodio. In ogni caso Marco Beretta della Filcams Cgil milanese, che si è assunta l’onere della battaglia legale, garantisce a Repubblica che ci sarà un ricorso: «Non ci fermeremo, la decisione è assurda e ingiusta. Per noi Marica Ricutti è il simbolo della condizione delle donne nel mondo del lavoro. Le difficoltà familiari non sono state tenute in considerazione. Ha prevalso l’interesse aziendale, in un Paese con un tasso tra i più alti di abbandono del lavoro dopo il primo figlio. Ci sono tante donne costrette a gesti estremi. Marica chiedeva solo attenzione ai suoi problemi».