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Mariana Mazzucato: chi è l’economista chiamata da Conte per lavorare sul contrasto agli effetti del Coronavirus
neXtQuotidiano 28/02/2020
Gli economisti Mariana Mazzucato e Gunter Pauli “entrano” a Palazzo Chigi per lavorare alle misure di contrasto degli effetti economici del coronavirus. Mazzucato, romana, ma cresciuta professionalmente negli Usa, è docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’università di Londra
Gli economisti Mariana Mazzucato e Gunter Pauli “entrano” a Palazzo Chigi per lavorare alle misure di contrasto degli effetti economici del coronavirus. Il premier Giuseppe Conte ha infatti nominato i due economisti come suoi consiglieri proprio per lavorare ai diversi decreti anti-coronavirus. Mazzucato, romana, ma cresciuta professionalmente negli Usa è docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’università di Londra. Pauli è un economista di ordine belga, tra i primi promotori dell’ “economia blu”, che fa dello sviluppo sostenibile il suo perno.
Mariana Mazzucato: chi è l’economista chiamata da Conte per lavorare sul contrasto agli effetti del Coronavirus
Mazzucato è anche la fondatrice-direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose (IIPP), ma ha insegnato anche alla New York University e all’Università del Sussex. È sposata con Carlo Cresto-Dina, fondatore della casa di produzione Tempesta. I suoi ultimi libri sono Lo Stato Innovatore, pubblicato nel 2014 con Laterza, Ripensare il Capitalismo, scritto con Michael Jacobs e Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale, uscito nel 2018.
Mazzucato era stata inserita tra i nomi per il ministero dell’Economia dal MoVimento 5 Stelle in caso di vittoria alle elezioni. In questi anni è intervenuta spesso nel dibattito sull’economia con editoriali e commenti pubblicati da Repubblica. Nel 2015 scrisse un pezzo sul piano Merkel proposto dall’allora ministro dell’Economia greco Yanis Varoufakis:
Oggi in Europa i Paesi che se la passano bene non sono quelli che hanno stretto la cinghia, bensì quelli che hanno investito e investono maggiormente in tutti quei settori ed aree in grado di determinare un incremento della produttività, come formazione del capitale umano, istruzione, ricerca e sviluppo, nonché nelle banche pubbliche e nelle agenzie che favoriscono le sinergie tra settori diversi ad esempio le collaborazioni tra mondo scientifico e imprese. Il problema dell’Italia non è il deficit eccessivo ma la mancata crescita, perché da almeno venti anni non si fanno investimenti di questo genere. Ciò che è mancato all’Europa quindi non è un piano comune di tagli ma un piano comune di innovazione e di investimenti. Che è ben diverso dal litigare sul fiscal compact.
È lo stesso piano di investimenti che Yanis Varoufakis teorizzava, prima di prestare la sua competenza di economista come ministro del governo greco:
Varoufakisviene spesso accusato di essere un ministro troppo accademico e non abbastanza “politico” e concreto. Niente di più lontano dalla realtà. Ciò di cui oggi abbiamo bisogno sono proprio i politici in grado di coniugare delle prospettive di ampio respiro con gli strumenti di intervento nel breve periodo. Varoufakis lavora dal 2010 a quella che chiama una «modesta proposta per l’Europa», un piano di investimenti che ponga fine alle divergenze competitive che impediscono di uscire dall’attuale crisi. Se fosse stato ascoltato 5 anni fa, non saremmo di nuovo nei guai con i vari possibili “exit” dei prossimi anni (e non solo quello greco!). La sua proposta mirava alla creazione di denaro da destinare all’attività produttiva. L’idea era favorire una crescita trainata dalla Banca europea degli investimenti attraverso l’emissione di bond destinati all’investimento produttivo — con la Bce pronta ad acquistare quei bond, che avendo un rating tripla A sarebbero stati molto meno rischiosi dei bond nazionali. Finalmente l’Europa ha approvato un piano importante di quantitative easing, ma questo non basta, perché occorre dare una direzione al nuovo denaro creato, per evitare che finisca soltanto nelle casse delle banche le quali non necessariamente prestano denaro all’economia reale.
Ma il problema, spiegava all’epoca la Mazzucato, è la Germania:
Purtroppo, sino a quando la Germania non ammetterà che le differenze tra paesi forti e paesi deboli sono dovute ai mancati investimenti strategici,finché non smetterà di proporre unicamente tagli ai bilanci nazionali, sarà difficile articolare una vera soluzione. Per quante riforme strutturali si possano architettare, l’Europa non andrà da nessuna parte se non inizierà a programmare un futuro nuovo. Un futuro nel quale sia il settore pubblico che quello privato spendono di più nelle aree che favoriscono la crescita di breve e lungo termine. Proprio come su scala nazionale la Germania fa con il suo programma energiewende, che cerca di ottenere una vera trasformazione verde basata su nuove tecnologie e nuovi modelli di consumo e distribuzione. Insomma l’Europa dovrebbe fare come la Germania fa e non come la Germania predica ai Paesi europei in difficoltà. La «stagnazione secolare» non è affatto inevitabile, è un prodotto degli investimenti che decidiamo di fare o non fare. È ora di cambiare direzione, progettare, e creare, un progetto veramente comune.
Nel 2016 rilasciò un’intervista sulle battaglie furbe di Matteo Renzi:
Matteo Renzi continua a chiedere a Bruxelles più flessibilità sul deficit. È la battaglia giusta?
«In principio sì. Ma bisogna capire come la flessibilità verrebbe utilizzata. Abbassare le tasse sulle imprese o il cuneo fiscale non stimola gli investimenti: le aziende investono quando vedono opportunità di crescita, che sono trainate dalla spesa pubblica. Renzi ha fatto riforme simboliche, come il Jobs Act, ma non ha scommesso sui fattori che fanno aumentare la produttività, come capitale umano e innovazione. La riforma della pubblica amministrazione è fatta di tagli, non ragiona su come renderla più efficace e smart. Intanto la Cassa depositi, a differenza della tedesca KfW, investe per sostenere imprese in difficoltà e non su settori d’avanguardia, come le energie alternative».