Lotti, Zanda e la seduta spiritica

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-06-14

Luca Lotti si autosospende dal Partito Democratico dopo l’intervista di Luigi Zanda al Corriere della Sera. Stamattina il tesoriere del partito di Zingaretti ha chiesto in un’intervista a Lotti di valutare l’ipotesi di fare un passo indietro dopo le intercettazioni che lo vedevano parlare sulle cariche dei magistrati. Nel lungo messaggio che Lotti pubblica su Facebook …

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Luca Lotti si autosospende dal Partito Democratico dopo l’intervista di Luigi Zanda al Corriere della Sera. Stamattina il tesoriere del partito di Zingaretti ha chiesto in un’intervista a Lotti di valutare l’ipotesi di fare un passo indietro dopo le intercettazioni che lo vedevano parlare sulle cariche dei magistrati. Nel lungo messaggio che Lotti pubblica su Facebook il deputato già ministro renziano ed esponente di punta del Giglio Magico non si risparmia allusioni e battutine come soltanto un vero rosicone può fare.

Caro Segretario,
apprendo oggi dai quotidiani che la mia vicenda imbarazzerebbe i vertici del PD. Il responsabile legale del partito mi chiede esplicitamente di andarmene per aver incontrato alcuni magistrati e fa quasi sorridere che tale richiesta arrivi da un senatore di lungo corso già coinvolto – a cominciare da una celebre seduta spiritica – in pagine buie della storia istituzionale del nostro Paese.
I fatti sono chiari. Tu li conosci meglio di altri anche perché te ne ho parlato in modo franco nei nostri numerosi incontri. Ma io, caro Segretario, non partecipo al festival dell’ipocrisia.
Sono nato e cresciuto come uomo di squadra. E non so immaginarmi in altro ruolo. Per questo l’interesse della mia comunità, il PD, viene prima della mia legittima amarezza. Ti comunico dunque la mia autosospensione dal PD fino a quando questa vicenda non sarà chiarita. Lo faccio non perché qualche moralista senza morale oggi ha chiesto un mio passo indietro. No. Lo faccio per il rispetto e l’affetto che provo verso gli iscritti del PD, cui voglio bene e perché voglio dimostrare loro di non avere niente da nascondere e nessuna paura di attendere la verità.

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L’uscita di Lotti contro l’ex compagno di partito Zanda (provengono entrambi dalla Margherita) si rifà a un evento storico in cui Zanda è sì coinvolto ma non nel senso che intende il deputato. Si parla della famosa seduta spiritica che Romano Prodi usò come giustificazione per la soffiata-non-soffiata di Gradoli come luogo in cui veniva detenuto Aldo Moro, all’epoca rapito dalle Brigate Rosse che lo uccisero qualche tempo dopo:

Il racconto ufficiale comincia il 2 aprile del 1978, due settimane dopo il rapimento Moro, quando Alberto Clò, professore di Economia dell’Università di Bologna, invitò un gruppo di amici per un pranzo nella sua villa di Zappolino, poco fuori Bologna. Costretti in casa dalla pioggia, i docenti decisero di ingannare il tempo con il “gioco del piattino”: e visto che in quei giorni non si parlava che di Moro, pensarono di domandare agli spiriti dove fosse tenuto prigioniero il presidente della DC. Su un grande foglio di carta scrissero lettere e numeri.

Poi, a turno, poggiarono l’indice su un piattino da caffè rovesciato. L’idea dietro al gioco è che, una volta posta la domanda, gli spiriti compongano la risposta muovendo il piattino e facendolo fermare sulle varie lettere disposte sul tavolo. Per un prestigiatore o per un truffatore non è affatto difficile orientare e “spingere” il piattino senza che nessuno si accorga di niente. Secondo tutti i protagonisti, però, quel pomeriggio non ci fu nessun trucco. Quando agli spiriti fu chiesto se Moro fosse vivo e dove si trovasse, una forza sconosciuta mosse il piattino sul tavolo e, senza l’aiuto di nessuna mano umana, compose le parole: Viterbo, Bolsena e Gradoli.

Zanda, all’epoca collaboratore del ministro dell’Interno Cossiga, ricevette la segnalazione della seduta spiritica attraverso Umberto Cavina, portavoce del segretario della Democrazia Cristiana, Benigno Zaccagnini, e la inoltrò al Viminale.

luigi zanda
Il biglietto di Zanda su via Gradoli, da Il Post

Le forze dell’ordine si recarono a Gradoli e non trovarono nulla. Successivamente si venne a sapere che uno dei covi delle BR, in cui all’epoca poteva essere stato detenuto Aldo Moro, era in via Gradoli a Roma. Il covo di Mario Moretti si trovava all’interno 11 del numero 96 di via Gradoli.

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