Attualità
Il caso Luca Lotti nell’indagine su Palamara
Alessandro D'Amato 14/06/2019
Le intercettazioni sulla procura di Roma. La giustificazione sulle parole in libertà. Le liti nel Giglio Magico. L’attacco (felpato) di Zingaretti e quello più esplicito di Zanda. Piccola storia di un deputato difeso solo da Renzi. Fino alla fine?
Luca Lotti dovrebbe sapere che è politicamente inopportuno espettorare “parole in libertà, opinioni espresse liberamente in un incontro che si è svolto in un dopocena” quando si parla di argomenti non di sua competenza come le nomine in magistratura. Luca Lotti dovrebbe anche sapere (visto che è stato in un governo che ha dimissionato gente che non aveva ricevuto avvisi di garanzia) che anche se non ha commesso reati, il confine tra l’opportuno e l’inopportuno in politica è diverso da quello tra lecito e illecito.
Il caso Luca Lotti
E invece no. Lotti resiste. Mentre la Procura di Roma nel dicembre 2018 ha chiesto per lui il rinvio a giudizio per favoreggiamento, è scoppiata la vicenda del CSM, che ruota attorno alla figura del pm di Roma Luca Palamara, ex consigliere del Csm con Unicost ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. I pm sono arrivati a lui seguendo le tracce di un gruppo di potere che, secondo l’accusa, era incentrato sugli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che utilizzavano il faccendiere Fabrizio Centofanti per creare una rete di rapporti con magistrati tra cui proprio Palamara.
La procura di Perugia indaga e punta il dito su una dazione di 40mila euro che secondo gli inquirenti (gli indagati smentiscono) sarebbe servita per far nominare il pm Giancarlo Longo alla procura di Gela oltre che su un dossier contro Pignatone e Ielo. Nel registro degli indagati finiscono: Palamara (corruzione e rivelazione del segreto), Fava (rivelazione del segreto e favoreggiamento) e Spina (rivelazione del segreto e favoreggiamento).
L’indagine su Palamara
Gli inquirenti ipotizzano anche l’esistenza di un centro di potere in cui Palamara, Spina, insieme ai consiglieri del CSM Corrado Cartoni e Antonio Lepre parlavano della nomina del procuratore capo di Roma con i parlamentari del Partito Democratico Cosimo Ferri e Luca Lotti. Spuntano i nomi di altri due consiglieri, mentre Palamara appoggiava la nomina del procuratore di Firenze Marcello Viola, considerato nemico di Pignatone.
Secondo un documento condiviso da tutti i consiglieri, anche se i fatti sono «penalmente irrilevanti» – dicono i consiglieri togati e laici – gettano comunque «discredito sull’Istituzione in cui si incarna la magistratura italiana». Per questo, aggiungono, s’impone «un serio, profondo, radicale percorso di revisione critica e autocritica, di riforma e autoriforma dell’autogoverno, dei metodi di selezione delle rappresentanze dell’etica e della funzione». I consiglieri ne sono convinti: «La delicatezza della situazione impone di eliminare ogni ombra sull’Istituzione di cui siamo componenti, che deve essere e apparire assolutamente indipendente, libera di approfondire e di valutare, nell’ambito delle competenza che la legge attribuisce al Consiglio superiore della magistratura, quanto sta emergendo anche riguardo ai comportamenti di magistrati che del Consiglio fanno parte».
Le intercettazioni di Cosimo Ferri e Luca Lotti
In tutto ciò ci sono le intercettazioni di Cosimo Ferri e Luca Lotti, leader del Giglio magico nato a Empoli il 20 giugno 1982 ed ex Margherita proprio come Renzi:
In una intercettazione, Cosimo Ferri dice a Palamara: «Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole andare a Reggio Calabria o no?». Risponde il pm di Roma: «Gli va messa paura con l’altra storia, no? Liberi Firenze». La storia a cui farebbero riferimento potrebbe essere un procedimento in corso di istruzione alla Procura di Genova.
In altra intercettazioni sempre su Creazzo, Lotti afferma: «Se quello di Reggio va a Torino è evidente che quel posto è libero e quando lui (Creazzo, ndr) capisce che non c’è più posto per Roma fa domanda e che se non fa domanda non lo sposta nessuno, ammesso che non ci sia come voi mi insegnate…a norma di regolamento, un altro motivo».
Ed ecco le giustificazioni di Lotti sulle parole in libertà. Che però non convincono nessuno, come spiega oggi Sergio Rizzo su Repubblica:
Giustificazione banale e inaccettabile per chi dovrebbe sapere bene quanto sia irrituale per un deputato ex ministro, per di più indagato nel caso Consip, lasciarsi andare a certe “parole in libertà” a proposito delle nomine di giudici che un giorno potrebbero, chissà, anche trovarsi fra le mani il suo dossier. Con interlocutori non proprio disinteressati, poi: fra cui un magistrato consigliere del Csm, Palamara, e un magistrato ex sottosegretario alla Giustizia, Ferri.
Figlio di Enrico Ferri, il ministro socialdemocratico reso noto trent’anni fa dal limite dei 110 all’ora in autostrada, Cosimo era già finito in una bufera politica cinque anni fa con richiesta di dimissioni grilline perché scoperto da sottosegretario a spedire ai suoi colleghi sms di questo tenore: “Per le prossime elezioni Csm mi permetto di chiederti di valutare gli amici Lorenzo Pontecorvo (giudice) e Luca Forteleoni (pm). Ti ringrazio per la squisita attenzione, Cosimo Ferri”.
Rizzo fa intendere anche che ci fosse Lotti dietro la rottura tra Renzi e Graziano Delrio, quando da Palazzo Chigi quest’ultimo passò alle infrastrutture: pare che il contrasto fosse nato anche sulla nomina di Nicola Gratteri a capo della commissione di Palazzo Chigi contro la criminalità organizzata. Ieri Zingaretti lo ha attaccato, oggi Zanda chiede la sua autosospensione dal partito: Renzi invece lo ha difeso. Fino alla fine?
Leggi anche: L’Italia di Salvini fa paura ai turisti