L’Italia delle grandi opere pubbliche bloccate

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-11-18

Quelle per mitigare i rischi di inondazione hanno lo stesso destino delle altre: negli anni ’60 l’Italia è riuscita a costruire l’Autostrada del Sole in cinque anni, oggi per fare un tombino ce ne vogliono sei

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L’Italia è il paese delle grandi opere pubbliche bloccate. Quelle per mitigare i rischi di inondazione hanno lo stesso destino delle altre: negli anni ’60 l’Italia è riuscita a costruire l’Autostrada del Sole in cinque anni, oggi per fare un tombino ce ne vogliono sei, dice Pietro Salini, amministratore delegato di Salini Impregilo:

«Scusi, ma Venezia è sommersa dall’acqua, i ponti delle autostrade crollano, l’Italia è in ginocchio dal punto di vista delle infrastrutture, abbiamo un lungo elenco di opere importantissime bloccate. E non perché manchino i fondi, ma perché si sono impantanate nella palude della burocrazia che ha paura di fare, e il Pil non riparte. Che altro deve succedere? Sarò brutale, ma la situazione è questa e se non la si cambia il Paese affonda».

Quale soluzione per Venezia?
«Mi pare che il progetto Mose sia commissariato da tempo. Non mi sembra che questa soluzione stia dando risultati».

grandi opere pubbliche bloccate
Le grandi opere pubbliche bloccate in Italia (La Repubblica, 18 novembre 2019)

Vi candidate a farlo? Ne avreste le competenze…
«Assolutamente no. Abbiamo già molto da fare».

E come si cambia, secondo lei?
«A Genova sono in vigore le stesse leggi che valgono nel resto d’Italia. Ma la differenza è che là tutti – dal governo alle amministrazioni locali, dalla magistratura all’autorità per l’ambiente – sono uniti nel voler fare il nuovo ponte. Serve questa volontà comune, che deve partire dal fatto che le infrastrutture sono un fattore essenziale di sviluppo. È necessario, ad esempio, modificare il modo in cui sono fatti i contratti, che oggi addossano ai costruttori tutti i rischi, compresi quelli assolutamente fuori dal loro controllo, come i cambiamenti di norme che avvengono successivamente. La normativa deve cioè essere fatta per fare le infrastrutture non per bloccarle».

Tanta diffidenza ha qualche ragione forse. Il passato degli appalti pubblici è tutt’altro che edificante.
«Ma distruggere il settore delle costruzioni, come in buona parte si è già fatto, non risolve nulla. Anzi, aggrava la situazione. Ci sono stati casi di malaffare, come in tutti i settori, che vanno puniti, ma questo non significa colpevolizzare un’intera industria e farla morire, e con lei l’occupazione. Invece il Paese si è fermato in modo indiscriminato, con danni per tutti. Salini-Impregilo fa circa l’8%del fatturato in Italia, ma non perché vogliamo fare tutti i lavori all’estero, bensì perché l’Italia manca all’appello. Nel piano industriale che finisce quest’anno prevedevamo di realizzare 7 miliardi di fatturato a fine 2019. È mancata la parte italiana, ma continuiamo a crescere all’estero».

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