Economia
La figuraccia di Di Maio sul MES a DiMartedì
Giovanni Drogo 04/12/2019
L’ex vicepremier ieri da Floris ha dimostrato che del MES non ci ha capito nulla evitando di entrare nei dettagli delle cose che non gli piacciono e prendendo tempo parlando di “prudenza” e della necessità di leggere bene le carte, come da tradizione del M5S
Ieri il ministro degli Esteri Luigi Di Maio era ospite a DiMartedì dove ha parlato del Meccanismo Europeo di Stabilità, dimostrando che sul MES ci ha capito ben poco. Il Capo Politico del M5S si è limitato a ripetere che prima di firmare lui vuole leggere bene tutte le carte (prego, si accomodi) e che ci vuole prudenza, perché il Trattato istituisce «una serie di meccanismi che non rispondono neanche ad organi eletti dal popolo». Di Maio non può dire che il MES è privato, perché lo dice già Salvini, ma ci prova lo stesso. Peccato che il MES risponda ai ministri delle Finanze e che nel trattato sia esplicitamente previsto l’intervento della Commissione Europea (si dirà: non è eletta dal popolo, ma nemmeno il governo italiano lo è).
La logica a pacchetto di Di Maio: prendere tempo per non prendere una posizione
Di Maio, che era ministro e vicepremier quando il governo precedente discuteva della riforma del MES con i partner europei, non è in grado di spiegare cosa sia il Fondo salva stati né come funzioni. Dice ad esempio «avete paura forse di quello che a Napoli si chiama ‘pacco’. Ma qui parliamo di una riforma del meccanismo europeo di stabilità e di un pacchetto di accordi, quindi vogliamo leggere tutte le carte e per questo siamo stati accusati». Sposta la questione: il tema non è più la riforma del trattato ma il “pacchetto” di riforme complessivo: «quando io devo mettere dei soldi in banca prima voglio leggermi tutte le carte, poi metto tutte le firme e poi metto i soldi in banca. Qui stiamo parlando della riforma di un meccanismo che non riguarda solo il meccanismo europeo di stabilità ma anche unione bancaria e assicurazione europea sui depositi».
«Finché non leggiamo tutti gli accordi di questo pacchetto non firmiamo nulla», dice Di Maio. Dimostrando non solo di non aver chiaro come funzionerà il MES ma nemmeno quali erano le posizioni del governo sugli altri temi. Ad esempio sappiamo dalla Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia di Paolo Savona che «l’Italia sostiene con convinzione la creazione di un sistema comune di assicurazione dei depositi (EDIS) che permetterebbe di realizzare una più completa mutualizzazione del rischio bancario nell’area euro e contribuirebbe ad allentare il legame fra le banche e gli Stati sovrani». E sappiamo anche che la creazione dell’EDIS esula dalla riforma del trattato di funzionamento del MES.
Di Maio in sostanza vuole solo prendere tempo: aspettare che tutto il pacchetto di riforme (MES, EDIS, Unione Bancaria) sia pronto significa rimandare la decisione sul MES, il cui progetto di riforma si è sostanzialmente concluso con la pubblicazione della bozza del 14 giugno scorso.
La chiave è qua. Chi la capisce è bravo e gli offro una birra pic.twitter.com/7zkJaZ11Nl
— Adriana Spappa (@AdrianaSpappa) December 3, 2019
Le balle di Di Maio sul MES
Quando Claudio Cerasa del Foglio ieri sera ha chiesto al ministro di dire quali modifiche al trattato gli farebbero riconsiderare la sua posizione sul MES e se sarebbe disposto a uscire dal Meccanismo Europeo di Stabilità Di Maio ha dato delle risposte senza senso. Ha detto che il MES “presta i soldi se tu ristrutturi il debito pubblico” affermando che nel trattato è scritto che «il prestito di soldi a paesi che non rispettano i parametri di Maastricht dopo una valutazione di sostenibilità del debito prevede una ristrutturazione del debito».
In realtà il testo del trattato (qui la traduzione non ufficiale a cura del Senato) non lo dice. All’Allegato 3 prevede due linee di credito distinte: una per chi rispetta alcuni parametri quantitativi di bilancio nei due anni precedenti la richiesta di assistenza finanziaria (tra cui un disavanzo inferiore al 3% del PIL e un rapporto debito/PIL inferiore al 60% del PIL o una riduzione di questo rapporto di 1/20% all’anno), non essere soggetti alla procedura per disavanzi eccessivi, non avere squilibri eccessivi e il loro debito pubblico dovrebbe essere considerato sostenibile. E un’altra invece per quei membri del MES che non soddisfano alcuni dei criteri di ammissibilità ma che presentano una situazione economica e finanziaria generale comunque solida e un debito pubblico sostenibile.
«Questo fondo si basa sulla sostenibilità del debito, se non è sostenibile allora chiedono di ristrutturarlo», dice Di Maio. Ma non è vero: il debito pubblico deve essere considerato sostenibile per accedere al fondo. Per la semplice ragione che se non lo fosse il paese sarebbe in default e quindi non avrebbe la capacità di ripagare il prestito. E ricordiamo che il MES presta del denaro. E come tutti i creditori si vuole assicurare che chi riceve quei soldi sia in grado di restituirli. Se il debito non fosse sostenibile allora sarebbe imperativo ristrutturarlo per evitare il default, a prescindere o meno dall’intervento del MES, che non è per altro obbligatorio. Al momento il debito pubblico italiano (seppur enorme) è considerato sostenibile. Quindi di cosa sta parlando Di Maio? Probabilmente di un trattato che non ha letto. E riguardo all’uscita dell’Italia dal MES? Il ministro degli Esteri evita accuratamente di rispondere. E se non si esce si rimane dentro, tertium non datur.
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