Attualità
La fantastica retromarcia della poliziotta che dà della terrorista a Carola Rackete
Giovanni Drogo 21/02/2020
Un’appartenente della Polizia di Stato in forza alla Questura di Grosseto ha pubblicato ieri un duro commento sulla sentenza della Cassazione che ha rigettato il ricorso del Pm di Agrigento sull’arresto dell’ex comandante della Sea Watch 3. Il post è stato cancellato, ma probabilmente non basterà
Carola Rackete? Per Silvia, che a quanto si legge sarebbe un vice ispettore della Polizia di Stato in forza alla Questura di Grosseto, non è altro che «una lurida zecca di sinistra», una «terrorista che farà la fine che merita» e infine una «troia» e una «povera stronza» colpevole di aver speronato una motovedetta della Guardia di Finanza. Così il vice ispettore commentava la sentenza della Cassazione che respingendo il ricorso del Pm di Agrigento ha giudicato illegittimo il provvedimento di arresto della comandante della Sea Watch 3.
Quella “terrorista” di Carola Rackete, e altri insulti
E non finisce qui perché il vice ispettore della PS ce l’ha anche con la «pletora di mummie completamente decontestualizzate dalla vita reale» e con gli «”ospiti” di questa povera stronza», ovvero i migranti, che naturalmente non scappano da “un cazzo di niente” e da nessuna guerra. La Cassazione invece più modestamente ritiene che «l’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale Sar di Amburgo non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro», e tale non può essere qualificata, «una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi meteorologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone».
Non è certo la prima volta che la dipendente della questura di Grosseto se la prende con la Rackete, in un post di luglio l’aveva chiamata “demente”.
Il post sulla “terrorista” Rackete è durato poco, il tempo di scatenare l’indignazione di quelli che leggevano (e qualche applauso). In un commento che è rimasto impigliato nelle maglie della memoria di Facebook la poliziotta rispondendo ad un utente stupito e imbarazzato che parole come queste venissero pronunciate da chi indossa la divisa della Polizia dello Stato lei aveva risposto con un attacco ai soliti radical chic che sputano sulle uniformi ribadendo «penso di questa terrorista ciò che voglio a prescindere da quello che pensano i miei superiori».
Ora, apparentemente definire Carola Rackete una “terrorista” potrebbe pure integrare il reato di diffamazione, ma non sta a noi deciderlo. In fondo dopo l’episodio dello “speronamento” della lancia della Guardia di Finanza uno dei superiori del vice ispettore – quel Matteo Salvini che all’epoca era titolare del Viminale – ebbe a dire che la Rackete era una “sbruffoncella”, “fuorilegge”, “delinquente”, autrice di un atto “criminale”, responsabile di un tentato omicidio in quanto “avrebbe provato a ammazzare cinque militari italiani”, “complice dei trafficanti di esseri umani” e altre cose ancora beccandosi una bella denuncia. Come sempre il pesce puzza dalla testa, e se al Ministero dell’Interno facevano così che colpa ne può avere un’agente?
Post cancellato, con tante scuse, ma «ciò non toglie che continuo a pensare delle ONG quello che penso»
Il post, pubblicato ieri sera, è stato rimosso. La Questura di Grosseto ha diramato una nota dove dice che in caso venisse dimostrato che il post è riconducibile ad una dipendente della Polizia di Stato verranno presi provvedimentoi: «In relazione al post apparso su un profilo Facebook riconducibile ad un’appartenente alla Polizia di Stato di Grosseto pubblicato ieri sera e poi rimosso, quest’Ufficio sta verificando la sua effettiva riferibilità al dipendente di questa Amministrazione. In caso di esito positivo, verranno presi tutti i provvedimenti del caso».
C’è invece ancora un altro post dove a proposito del fatto che le sentenze della Cassazione vanno accettate scrive «ricordo che la Cassazione è lo stesso ente che anni fa ha sentenziato che una donna che indossa i jeans non può essere soggetta a violenza sessuale e mi pare che tale sentenza, pur se originata, come tutte del resto, da un episodio circostanziato, scatenò un’orda di insulti bipartisan, per i quali nessuno ha fatto la galera». Naturalmente quella sentenza non ha nulla a che vedere con la vicenda della Sea Watch e con la manovra degli agenti della Guardia di Finanza che tentarono di impedire (da poppa) che una nave di 600 tonnellate che stava terminando la procedura di accostamento al molo potesse attraccare.
È un po’ lo stesso artificio retorico di Giorgia Meloni che ieri sera ha detto che siccome la Cassazione ha detto che se una ragazza non è vergine non è stupro (spoiler: non l’ha detto) allora non c’è obbligo di rispettare le sentenze della Cassazione.
Anche perché – per tornare all’esempio fatto dalla signora Silvia – nel 2006 (con la sentenza on la sentenza n. 22049 del 19 maggio 2006) quella decisione (del 1999) venne superata proprio dalla Cassazione che disse che «l’attendibilità di una vittima della violenza sessuale non può essere inficiata dal fatto che la stessa indossasse i jeans al momento dello stupro, posto che la paura di ulteriori conseguenze potrebbe avere determinato la possibilità di sfilare i jeans più facilmente».
Oggi pomeriggio la svolta: «Mi sa che ho esagerato e mi scuso pubblicamente. Ciò non toglie che continuo a pensare delle ong quello che penso» mentre in un commento aggiunge «giusto per la cronaca. Mi sono resa conto di avere usato un espressione impropria che peraltro non mi è stata risparmiata né pubblicamente, da persone che non conosco, né in privato. Sono libera di pensare ciò che voglio sulle ong, che non sono enti istituzionali». Non è chiaro se con espressione impropria si riferisca a «lurida zecca di sinistra», «troia» ,«povera stronza» oppure a quel «terrorista che farà la fine che merita».