Il problema non è intervistare o meno Lavrov, ma il come

di Massimiliano Cassano

Pubblicato il 2022-05-02

Avere ospite nella propria trasmissione il ministro degli Esteri di un Paese che ha riportato la guerra in Europa dopo decenni, poter ricevere informazioni di prima mano direttamente dalla sua voce, bypassando il filtro di agenzie di stampa governative come Sputnik e Tass, e poterlo incalzare sull’attualità, è quello che giornalisticamente viene definito “un colpo”. …

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Avere ospite nella propria trasmissione il ministro degli Esteri di un Paese che ha riportato la guerra in Europa dopo decenni, poter ricevere informazioni di prima mano direttamente dalla sua voce, bypassando il filtro di agenzie di stampa governative come Sputnik e Tass, e poterlo incalzare sull’attualità, è quello che giornalisticamente viene definito “un colpo”. Chiunque tra gli addetti ai lavori vorrebbe poter intervistare Sergej Lavrov, se non addirittura Vladimir Putin in persona: l’intero mondo è interessato alle scelte del Cremlino, e qualsiasi cosa venga fuori da un colloquio con i diretti interessati ha una rilevanza tale da renderlo in automatico un servizio utile per il cittadino. Ma c’è un però. Come detto nella premessa – e questo vale per qualsiasi intervista, anche se vista la portata della minaccia si amplifica parlando di Lavrov – incalzare l’ospite, metterlo in difficoltà, far notare le inesattezze, metterlo di fronte alla realtà delle cose, è parte integrante del lavoro da cronista.

Cosa non va nell’intervista di Lavrov a Zona Bianca

Ed è l’aspetto che meno è stato curato in quello che è diventato a tutti gli effetti un monologo propagandistico andato in onda ieri sera su Rete 4 durante Zona Bianca, talk show condotto da Giuseppe Brindisi. È probabile che l’esponente del governo russo abbia dettato delle dure condizioni per la sua presenza, come ad esempio quella di non essere interrotto o di non avere una controparte ad argomentare in senso contrario al suo. Ma questo non è sufficiente a giustificare l’opportunità data a Mosca di parlare ai telespettatori italiani senza filtri.

Lavrov su Bucha

E a poco servono giustificazioni come quelle addotte dal coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani, che ha fatto notare come la trasmissione abbia ”un inviato di guerra molto importante che ha sempre documentato i crimini di guerra commessi dai russi” e che quindi non si possa pensare che Zona Bianca sia “filorussa”. Perché la responsabilità verso il pubblico è dovuta in ogni momento, e un telespettatore che non conosca la linea editoriale (e non è tenuto a farlo) non può trovarsi esposto a discorsi deliranti come quelli fatti ieri senza punti di riferimento reali. Quando Lavrov ha negato il massacro di Bucha andavano mostrate le testimonianze delle immagini satellitari fornite dal New York Times che attribuivano inequivocabilmente le responsabilità degli occupanti russi nelle esecuzioni sommarie di civili alle porte di Kyiv. Mentre si lanciava in parallelismi tra Zelensky ed Hitler qualcuno avrebbe dovuto fargli notare come la persona più vicina al leader nazista sia proprio il presidente della Federazione russa Putin, anche in riferimento all’aspra censura messa in atto in tutto il Paese.

La doppia esigenza: testimoniare e informare correttamente

Senza arrivare a scomodare la Nbc che addirittura interruppe il collegamento televisivo durante un discorso in cui Donald Trump stava rivendicando la vittoria alle presidenziali in alcuni stati nei quali a vincere era stato invece Biden, sarebbe bastato replicare per ottenere il doppio effetto desiderato: fotografare il momento storico e quanto in là la propaganda del Cremlino sia oggi in grado di spingersi, e bilanciare l’esigenza degli spettatori di essere correttamente informati. Una risoluzione votata a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo mette in guardia gli stati membri dell’Ue dall’agire come cassa di risonanza per le parole del governo russo: non rispettarla fa perdere credibilità al nostro Paese, già troppo permissivo con propagatori di fake news in televisione. Se a questo ci si aggiunge l’augurio di “buon lavoro” – come fatto da Brindisi – a una persona che per “lavoro” in questo momento pianifica bombardamenti e minaccia attacchi nucleari, il danno è compiuto. E il megafono è acceso.

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