Politica
I portaborse assunti in parlamento a 50 euro al mese
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-11-18
Il contratto della deputata Occhionero con l’ormai ex collaboratore Antonello Nicosia prevedeva una retribuzione di 50 euro al mese. Per quanto possa sembrare incredibile, cinquanta euro sono dunque sufficienti per avere un tesserino che consente che di circolare liberamente negli uffici del parlamento
Il caso di Antonello Nicosia e della deputata di Italia Viva Giuseppina Occhionero ha riportato sotto la lente la questione dei portaborse assunti in parlamento. Occhionero ha raccontato ai magistrati che il regolare contratto da lei stipulato con l’ormai ex collaboratore prevedeva una retribuzione di 50 euro al mese. Per quanto possa sembrare incredibile, cinquanta euro sono dunque sufficienti per avere un tesserino che consente che di circolare liberamente negli uffici del parlamento e magari fare una capatina nelle carceri di massima sicurezza. Spiega oggi Sergio Rizzo su Repubblica:
Gli incarichi ai collaboratori sono strettamente fiduciari, com’è giusto che sia. Ma in Italia i contratti sono gestiti personalmente dai deputati e dai senatori, contrariamente a quanto avviene altrove. A Strasburgo, per esempio, gli europarlamentari nominano all’inizio del mandato i propri collaboratori ma è poi l’amministrazione che fa i contratti e paga gli stipendi. Con tutte le garanzie del caso, ovvio. Da noi, invece, deputati e senatori provvedono direttamente anche a retribuire gli assistenti, ma senza alcun obbligo particolare. E le amministrazioni di Montecitorio e Palazzo Madama sono sollevate da qualunque tipo di responsabilità contrattuale come pure da ogni controllo. Per avere il tesserino alla Camera è sufficiente depositare un contratto almeno annuale: di qualunque importo, come sta a dimostrare il caso Nicosia. Al Senato invece è stato fissato per regolamento un limite minimo di 375 euro al mese.
Lordi, s’intende. Ed è chiaro che in condizioni del genere si possono produrre situazioni di ogni tipo. La storia è vecchia. Nel 2007 le Iene scoprirono che su 683 collaboratori parlamentari appena 54 avevano un regolare contratto. Ma da allora è cambiato poco o nulla. Basta dire che alla fine della legislatura spirata nel 2018 si contavano soltanto al Senato, oltre a 44 contratti co.co.co. (una formula abolita ormai da anni), 43 consulenze con partita Iva e 11 non meglio precisate “prestazioni occasionali”. Mentre a una domanda di Report a proposito del numero dei collaboratori ufficialmente registrati alla Camera il presidente Roberto Fico ha risposto qualche mese fa: «Circa 400». Solo quattrocento per 630 deputati? Certo, c’è anche un partito, la Lega di Matteo Salvini, i cui parlamentari fanno addirittura a meno di collaboratori personali.
I costi sono la scusa dietro a cui il palazzo si è sempre nascosto.
Nel 2018 il collegio dei questori aveva calcolato che la Camera avrebbe dovuto sopportare un costo fra 6 e 8 milioni l’anno se avesse avuto l’incombenza di gestire direttamente, ma sempre con quei denari oggi assegnati ai parlamentari, contratti regolari con retribuzioni fino a 1.500 euro netti al mese. Troppo, era stata la conclusione. Troppo, per un bilancio di 943 milioni l’anno e 450 milioni spesi fra stipendi e pensioni del personale. Troppo. Eppure il taglio dei vitalizi agli ex parlamentari avrebbe fatto risparmiare (Fico dixit) 44 milioni l’anno: se è così, meno del 20 per cento di quella somma basterebbe per mettere in regola qualche centinaio di ragazzi e tenere il parlamento al riparo da altri casi come quello di Nicosia.
Leggi anche: Elisabetta Trenta spiega che non lascia la casa perché le serve grande