Fact checking
Governissimo: l’ipotesi del governo di tutti (ma senza Salvini e Di Maio)
Alessandro D'Amato 14/03/2018
Il PD esce allo scoperto e lancia l’ipotesi delle larghissime intese per fare le riforme istituzionali e la legge elettorale. Ma a Lega e M5S non conviene. Anche se tornare al voto presto è difficile. Soprattutto per ragioni di calendario
Un governo di tutti per fare le riforme istituzionali e la legge elettorale, poi tornare rapidamente al voto. A dieci giorni dal voto l’unica proposta sul tavolo delle forze politiche è questa, anche se c’è chi l’ha già bocciata. Ovvero il MoVimento 5 Stelle che con Luigi Di Maio ieri ha chiuso all’ipotesi di qualsiasi alternativa diversa dal suo governo.
Governissimo: il governo di tutti per escludere qualcuno
A parlare apertamente dell’eventualità è oggi Dario Franceschini in un’intervista al Corriere della Sera: «Si è prodotto l’incrocio tra sistema bicamerale e tre poli politici; e non c’è legge elettorale che da sola possa risolvere il problema», ha detto il leader Dem ad Aldo Cazzullo; «È il momento di scrivere le regole tutti insieme. Le riforme a maggioranza non funzionano; ma siccome oggi nessuno ha la maggioranza, il quadro è perfetto per fare le riforme, perché nessuno le può imporre agli altri». Secondo Franceschini si può fare il monocameralismo appena bocciato dal referendum e una legge elettorale che escluda con il maggioritario il polo che arriva terzo o un proporzionale puro, dove però diventerà poi naturale una successiva alleanza in Parlamento.
Il PD da posizione minoritaria può oggi proporre soltanto questo e ben sapendo che sarà difficile che si arrivi a un accordo. Perché a Salvini e a Di Maio non conviene per niente mostrarsi possibilisti verso altre formule che non siano quelle dell’incarico a chi ha vinto. Prima di tutto, perché la crisi è appena iniziata e l’urgenza di trovare una soluzione ancora non c’è visto che mancano i presidenti di Camera e Senato. E in secondo luogo perché la strategia del fare i matti finora ha pagato elettoralmente e prima o poi (più prima che poi) alle urne ci si deve tornare.
Le larghe intese
D’altro canto se uno convoca una conferenza stampa per dire che non c’è niente da trattare (Di Maio) e il governo (suo) già c’è mentre l’altro passa la giornata al Parlamento europeo per parlare di piano B sull’euro e fotografarsi con Nigel Farage, è normale che non si trovi alcuno spazio politico per le larghe intese. La proposta del PD al Quirinale sarà incentrata su questo argomento: no a qualsiasi governo con grillini o destra, per aprire poi ad una eventuale chiamata del Colle per un governo di scopo, che riporti il paese alle urne non prima di un anno. Unica luce in grado di spazzare il fantasma di un voto anticipato a settembre.
Il governissimo servirebbe anche ad affrontare le priorità economiche che il governo Gentiloni non ha voti per portare a casa. L’alternativa, il voto, non è molto praticabile. Scrive oggi Ugo Magri sulla Stampa:
Primo ostacolo: il calendario. Da noi non si è mai votato in estate. Volendo restare nella prassi di 70 anni, l’ultima domenica utile per chiamare gli italiani a esprimersi sarebbe domenica 24 giugno (nel 1983, anno del record, si arrivò al 27). Ma perché le elezioni possano materialmente svolgersi, le Camere andrebbero in quel caso sciolte entro fine aprile. Tuttavia, ecco il problema, le consultazioni potranno incominciare non prima che vengano eletti i presidenti delle due Camere: sicuramente si scivolerà dopo Pasqua.
Votare presto non si può
Andare al voto in estate invece avvantaggerebbe chi ha un gran serbatoio di voti al Sud – i cittadini del meridione vanno meno in vacanza rispetto a quelli del settentrione – a discapito di chi sta al Nord. E anche andare alle urne subito dopo l’estate sarebbe problematico:
Pure in autunno non si è mai votato, sebbene possa sempre presentarsi una prima volta. In questo caso, la difficoltà numero uno è legata alla legge finanziaria. Salvo miracoli, le elezioni impedirebbero di approvarla entro fine anno, col risultato che scatterebbero in automatico le famose clausole di salvaguardia: in pratica un aumento dell’Iva che balzerebbe all’11,5 (per l’aliquota ridotta) e addirittura quella più alta al 24,2.
Sarebbe un salasso per tutti, si calcolano oltre 800 euro a famiglia. Crollerebbero i consumi interni, con conseguente gelata della crescita. Se causassero nuove elezioni, Di Maio e Salvini dovrebbero spiegarne i motivi in primo luogo a commercianti, piccoli imprenditori e al vasto popolo delle partite Iva, soprattutto al Nord, che ne verrebbe falcidiato. In gioco ci sono parecchi voti.
Insomma, il governo di tutti permetterebbe di gestire una fase di transizione e se l’obiettivo fossero davvero le riforme istituzionali ce ne sarebbe di tempo per lavorare mentre in parlamento le maggioranze variabili potrebbero formarsi intorno a proposte dei singoli parlamentari o partiti. Ma non si farà se Salvini e Di Maio non si convincono e fallirà se non riesce a trovare una legge elettorale che vada bene a entrambi i vincitori di questa tornata. Un pronostico fin troppo facile.
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