Economia
Il Golden Power per banche e assicurazioni
neXtQuotidiano 01/04/2020
Le attenzioni di molti si concentrano su alcuni gruppi “storici” come le Generali, il cui azionariato è particolarmente frammentato (il socio principale, Mediobanca, detiene il 13 per cento). Ma nelle intenzioni del governo l’obiettivo ha un raggio ampio. E punta a proteggere il mantello della “italianità” anche le banche più grandi che al momento appaiono inattaccabili come Unicredit
Il Golden Power è un insieme di diritti speciali che lo Stato, attraverso il governo, può esercitare per difendere i settori e le aziende considerati strategici per il paese. Viene introdotto con un decreto legge del 15 marzo 2012, dal governo Monti. Ma ha i suoi modelli di riferimento nella golden share britannica, introdotta ai tempi delle grandi privatizzazioni in Italia, e nell’action specifique francese. A differenza della golden share, si attua a tutte le società strategiche, sia pubbliche sia private. E, scrive oggi Repubblica in un articolo a firma di Claudio Tito, il governo pensa di estenderlo anche a banche e assicurazioni:
Sul tavolo del governo, che ha già maturato un orientamento in questo senso, è dunque riapparso un dossier che di tanto in tanto riemerge infrangendo il velo della “sicurezza nazionale”. Il dossier “Golden power”, ossia il potere dell’esecutivo di bloccare operazioni o passaggi di proprietà e controllo relative a società considerate strategiche. Quando l’interesse nazionale prevale, il governo può, ad esempio, stoppare offerte pubbliche di acquisto o di vendita considerate ostili. Lo può fare per le aziende considerate appunto “strategiche”: quelle che gestiscono fondamentali reti infrastrutturali come le telecomunicazioni, come quelle impegnate nel settore della Difesa o come quelle attive nell’energia. Adesso, però, è allo studio l’idea di allargare il perimetro delle società che possono essere sottoposte al controllo del “Golden power”.
Estenderlo, in primo luogo, al settore finanziario: banche e assicurazioni. La logica che sottintende questa scelta, e che potrebbe prendere forma nel prossimo decreto di aprile, si basa sulla necessita’ in questa fase di garantire liquidità al sistema produttivo italiano. Ma il punto più marcato è sempre lo stesso: la paura di perdere, in un momento difficoltà, alcune delle aziende fondamentali del Paese. La norma, in fase di studio negli uffici del Tesoro a Via XX Settembre, farebbe perno sull’attuale disciplina – modificata alla fine della scorsa legislatura – che già prevede per Cassa depositi e prestiti la possibilità di acquistare azioni di società che svolgono intermediazione finanziaria. Praticamente tutte le banche italiane (ad eccezione di un numero limitatissimo di banche cooperative) e la maggior parte della grandi assicurazioni. Il ruolo di Cdp, insomma, è destinato a crescere (a partire da Atlantia/Autostrade). Le attenzioni di molti, però, si concentrano su alcuni gruppi “storici” come le Generali, il cui azionariato è particolarmente frammentato (il socio principale, Mediobanca, detiene il 13 per cento) e in parte anche sulla stessa Piazzetta Cuccia. Ma, nelle intenzioni del governo, l’obiettivo ha un raggio ampio. E punta a proteggere il mantello della “italianità” anche le banche più grandi che al momento appaiono inattaccabili come Unicredit.
I prezzi di Borsa, però, non lasciano tranquillo nessuno. Basti pensare che persino Borsa Italiana Spa, che gestisce la piazza azionaria di Milano, pur essendo già in mano al London Stock Exchange, da mesi è rincorsa da voci di una prossima cessione. Ma a chi? Ad un altro soggetto europeo o fuori da confini continentali? Del resto, i report arrivati negli ultimi giorni dai nostri 007 ai ministri competenti e al Copasir (il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti), hanno descritto un certo attivismo su questo terreno di soggetti facenti base in Cina e in Russia. L’ordine di “sell” (vendere) è partito dai grandi fondi anglosassoni, gli spettatori interessati invece guardano da oriente.