“Fascism” e la cultura della colpa dei “dem” americani

di Amedeo Gasparini

Pubblicato il 2020-09-18

“Fascista”, in America, non vuol richiamare al Fascismo italiano del 1922-1945. Come tutti i movimenti totalitari, il Fascismo è un male assoluto: proprio per questa ragione, l’uso a casaccio e decontestualizzato della parola “fascista” non rende giustizia alla Storia e a chi sotto il Fascismo è perito

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Sebbene qualche movimento minoritario specialmente negli anni Trenta si rifaceva in particolar modo al Nazismo, per sua fortuna l’anziana democrazia oltre l’Atlantico il Fascismo non l’ha mai conosciuto, il che non vuol dire che ne sia o sia stata immune. Una delle forze degli Stati Uniti è stata proprio quella di non essere generalmente incline a dittature di destra e sinistra: d’altra parte, questo non ha impedito negli anni l’abuso di un termine, “fascist”, recentemente di moda per screditare l’avversario politico. Nel suo passaggio dall’Europa all’America, il termine ha cambiato significato, assumendo via via connotazioni lontane dalle ragioni storiche a cui il termine stesso è affibbiato. “Fascista”, in America, non vuol richiamare al Fascismo italiano del 1922-1945. Come tutti i movimenti totalitari, il Fascismo è un male assoluto: proprio per questa ragione, l’uso a casaccio e decontestualizzato della parola “fascista” non rende giustizia alla Storia e a chi sotto il Fascismo è perito.

“Fascism” e la cultura della colpa dei “dem” americani

Occorrerebbe dunque più cautela nella scelta dei termini all’interno dell’arena politica: oltre che storicamente incongruo, tacciare il proprio interlocutore o l’avversario politico di Fascismo – così come di Comunismo – negli anni Venti del XXI secolo è del tutto fuori tempo, specialmente in America, dove sebbene diverse sette e movimenti politici estremi siano esistiti ed esistono tutt’ora questi non hanno mai avuto rilevanza politica tale da instradare gli Stati Uniti verso la via totalitaria. Gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi (Good-bye Europa) hanno spiegato come mai il Comunismo in particolare non abbia attecchito negli Stati Uniti. «Mentre un operaio francese non poteva praticamente andare da nessun’altra parte, un operaio contadino della costa orientale degli Stati Uniti poteva emigrare nell’Ovest […] Lì […] diventava un proprietario terriero […] refrattario all’intervento dello Stato […] La stessa geografia del territorio rese difficile negli Stati Uniti la diffusione del movimento comunista. In Europa le distanze […] brevi […] rendevano molto più facile […] organizzare un movimento di lavoratori […] In Europa […] la miseria e l’instabilità politica che seguirono la Prima Guerra Mondiale crearono un terreno fertile per l’affermazione dei movimenti comunisti.»

barack obama

Abusare oggi del termine “fascista” si connette perfettamente ad un certo spirito di politically correctness propugnato da alcuni circoli progressisti-“dem” americani, che negli anni hanno sviluppato una “bi-cultura della colpa”: da una parte, il dare la colpa per tutti i drammi sociali “ai fascisti” (laddove nella stragrande maggioranza dei casi l’avversario politico-ideologico non è fascista), dall’altra nei confronti di se stessi come americani per le diseguaglianze e le segregazioni del passato. La “bi-cultura della colpa” prevede da una parte l’uso strumentale della scomunica nei confronti del conservatorismo mischiato all’integralismo cristiano e dall’altra il desiderio vittimistico di stabilire un ugualitarismo estremo nella società. A tal proposito, Federico Rampini (La notte della sinistra) ha spiegato che «nella sua versione estrema, la sinistra americana batte tutte le sue sorelle europee. La rappresentazione della Storia come una catena di crimini dell’uomo bianco ha il suo centro vitale nei campus delle […] università […] “Uomo bianco” è diventato un marchio infamante, lo si usa come un insulto».
Contrariamente a quanto si crede, la manipolazione verbale dei concetti a proprio favore non è ad esclusivo appannaggio del GOP trumpiano: l’estremizzazione del dibattito politico americano vede in tal senso anche nei “dem” (più o meno moderati, più o meno radicali) attori equamente coinvolti; molti dei quali, appunto, sono in prima linea a strillare al Fascismo che mai hanno conosciuto.

donald trump vaccino aids

In aggiunta, per troppi di loro, il politicamente corretto è diventato una religione, che dunque impedisce di entrare nel cuore delle questioni, accettare spiegazioni scomode, nonché di guardare al proprio passato nazionale con serenità, nonostante le efferatezze di ogni genere e i quesiti più difficili. Accusare l’avversario di “Fascism” è tipico della “bi-cultura della colpa” e del politicamente corretto, ossia l’interpretare in malafede fatti e costumi di ieri con le nuove lenti dell’oggi. La cancel culture a cui sono sottoposti recentemente diversi monumenti raffiguranti personaggi storici – tra l’altro tutti accusati indiscriminatamente ed erroneamente di “Fascism”, da Robert Edward Lee a Winston Churchill, da Leopoldo II ad Abraham Lincoln, da Cecil Rhodes a Indro Montanelli – è legata alla politically correctness. Essa non è in grado di riconoscere che i costumi cambiano ed errori o crimini di certe icone vanno ricordati, compresi e condannati, ma non cancellati, proprio per la necessità di 1) non piombare o ripiombare un nuovo – vero – “Fascism” e 2) imparare dalla Storia. La cultura del «sei un fascista», del vittimismo e del politicamente corretto di parte di alcuni “dem” – americani e non solo – non solo impedisce analisi storiche precise di periodi e personaggi controversi, ma non consente dibattiti costruttivi. L’accusa di “fascist”, l’ideologia e la malafede dietro l’uso del termine trovano terreno fertile in diversi strati sociali: a causa del politicamente corretto, si è arrivati a censurare The Great Gatsby, le fiabe dei fratelli Grimm e quelle di Hans Christian Andersen, a favore di un vittimismo opportunistico che nulla ha a che vedere con le legittime e giuste battaglie antirazziste, piuttosto che anti-totalitariste. «L’ideologia del vittimismo è diventato un diritto», ha scritto Alberto Pasolini Zanelli (Americani): oggi, «oppresso non è più chi è oppresso, ma chi si sente tale, a ragione o a torto». E per paradosso, «chi si sente vittima naturalmente trova la spinta di essere intollerante» e a sanzionare verbalmente chiunque la pensi in maniera diversa; i famosi deplorables di Hillary Clinton, quelli che «si aggrappano alle loro armi, alla loro birra, alla loro Bibbia», secondo Barack Obama.

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