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Un colpo di spugna alla delibera 140 per salvare le Onlus di Roma?

Giovanni Drogo 20/03/2017

Una sentenza del Tribunale di Roma ha giudicato illegittima la notifica di sfratto dell’Associazione Dinamo e così la politica romana inizia a pensare che forse è meglio cancellare quella delibera della Giunta Marino per salvare il no profit della Capitale

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Per due anni la politica romana, che si sia trattato del Partito Democratico o dei 5 Stelle (passando per la gestione commissariale di Tronca), ha preteso di risolvere il problema degli immobili di proprietà del Comune dati in locazione a partiti, enti, associazioni culturali e associazioni no profit impegnate nel sociale applicando la dura legge dello sfratto. Sono centinaia le associazione che si sono viste recapitare l’ingiunzione a sgomberare immediatamente immobili nei quali svolgevano la loro attività da anni, alcune addirittura da decenni. Oltre a questo a molte è stato richiesto anche di “saldare il conto” e pagare gli arretrati rivalutati con il canone attuale.
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La delibera 140 che sta distruggendo il tessuto dell’associazionismo romano

Lo strumento amministrativo in forza del quale gli uffici agiscono per la riacquisizione in autotutela amministrativa degli immobili comunale è la famosa delibera di Giunta n. 140 del 2015, emanata quando Ignazio Marino era sindaco della Capitale in reazione allo scandalo affittopoli: una delibera scritta in fretta e male come si è subito iniziato a capire. L’obiettivo che si poneva la 140 era quello di procedere in tempi rapidi al riordino del Patrimonio immobiliare capitolino revocando le concessioni a quei “furbetti” che non avevano titolo ad occupare proprietà del Comune. Fino ad oggi gli uffici capitolini hanno fatto partire 800 lettere di sgombero di spazi occupati legalmente da associazioni che li avevano ottenuti con convenzioni e che oltre ad aver pagato regolarmente contratti di affitto si erano anche impegnate finanziariamente in opere di messa in sicurezza e restauro degli immobili. Il problema della delibera 140, confermata per altro dalla giunta Raggi a febbraio (nonostante i 5 Stelle l’abbiamo fortemente criticata due anni fa) è che va a colpire nel mucchio e così associazioni come la Scuola Popolare Di Musica Di Testaccio e l’Accademia Filarmonica Romana, il Comitato Acqua Pubblica che aveva sede al Rialto, le Onlus come Viva la vita, che assiste i malati di Sla, il Grande Cocomero, un centro per la cura di bambini e ragazzi in difficoltà, oppure ancora il Telefono Rosa che ogni anno aiuta più di mille donne con consulenze legali gratuite e sostegno psicologico dovranno abbandonare le proprie sedi. Qualche tempo fa l’assessore al bilancio Andrea Mazzillo ha detto che il Comune non può fare nulla per fermare la macchina che si è messa in moto ma ha promesso di aprire al più presto un bando per riassegnare gli spazi liberati. Bando al quale però non potranno partecipare le associazioni che non saranno in regola con i pagamenti, e vista l’entità delle richieste è probabile che nessuna lo sarà. Di fatto la 140/2015 comporterà la morte dell’associazionismo romano.

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Un estratto della delibera 26/1995

Per il Tribunale di Roma le riacquisizioni sono illegittime

C’è però una speranza ed è la recente sentenza del Tribunale di Roma che ha riconosciuto le ragioni dell’Associazione Dinamo, colpita dal provvedimento di sfratto nel marzo 2016. L’associazione – difesa dall’avvocato Giuseppe Libutti – ha impugnato il provvedimento perché illegittimo e privo di un corrispondente presupposto normativo. Il Tribunale, con sentenza del 13 marzo 2017, ha accolto il ricorso (contro il quale si era opposta l’avvocatura di Roma Capitale) sentenziando che:

in presenza di beni appartenenti al patrimonio disponibile, non vi è, dunque, possibilità per l’amministrazione proprietaria di recuperare il possesso in regime di autotutela esecutiva di cui all’art. 823, comma 2 del codice civile. Qualora infatti il bene appartenga al patrimonio disponibile, l’amministrazione è tenuta ad avvalersi dei mezzi ordinari di tutela previsti dal codice civile con l’obbligo di motivare, in modo specifico e articolato, le ragioni della scelta della sua pretesa

E quindi sostanzialmente dicendo che non è possibile per il Comune agire in autotutela perché non ci sono i presupposti giuridici per farlo.  La sentenza, ha commentato il consigliere capitolino Orlando Corsetti del Partito Democratico:

aiuta o dovrebbe aiutare la politica a prendere delle decisioni in un momento così difficile per la città. Ci sono molti altri modi per la valorizzazione il patrimonio pubblico, non solo monetizzare. Il valore delle associazioni che usano i beni dando un servizio che spesso l’amministrazione non riesce a dare non ha prezzo e non può essere monetizzato. Dobbiamo ribadire questa volontà che era alla base della vecchia delibera 26 con cui si avviava l’intero percorso: chi non risponde ai criteri bisogna prenderli con la forza e far loro pagare il 100% del canone, ma coloro che hanno rispettato i criteri bisogna salvaguardarli, estendere loro la concessione e farli pagare il 20%, perché se davvero sono associazioni no profit non possono permettersi di pagare i canoni dei mercato non aspettano neanche lo sgombero, ma ridanno direttamente le chiavi all’amministrazione.

La delibera 26 cui fa riferimento Corsetti è quella del febbraio 1995 (giunta Rutelli) sull’assegnazione ad uso sociale di spazi e strutture di proprietà comunale per consentire ad “iniziative che arricchiscono il tessuto culturale e sociale della città di continuare ad esistere e svolgere la propria attività” nonché di consentire la razionalizzazione e la dislocazione degli uffici e delle strutture comunali al fine di ridurre gli oneri degli affitti passivi (su questo punto ha insistito anche l’assessore Mazzillo durante il suo incontro con gli occupanti del Rialto qualche settimana fa). Sarebbe quindi la delibera 26 il punto di partenza per risolvere la questione degli sgomberi delle associazioni no profit perché la scrittura di un regolamento condiviso – per il quale hanno protestato le associazioni – richiederebbe tra i dieci e i dodici mesi, un lasso di tempo entro il quale le associazioni potrebbero essere state già tutte messe alla porta. Il PD ha quindi scritto una nuova delibera, sulla linea della 26, che “dispone di mandare via chi non si è comportato correttamente e tutti gli altri li regolarizziamo, e la mettiamo a disposizione dell’amministrazione”.

La sentenza e la politica

Si tratta in sostanza di una regolarizzazione per le associazioni no profit in attesa che venga emanato un nuovo regolamento e per bloccare quella che Corsetti ha definito “una dinamica drammatica che si sta sviluppando a Roma”. Bloccare la delibera 140 per bloccare gli sfratti e avviare un censimento è quello che chiedono assieme a Corsetti anche Stefano Fassina (Sinistra per Roma) e Giulio Pelonzi (Pd). Fassina ha spiegato che:

Le associazioni hanno intrapreso il percorso della giustizia amministrativa e il Tribunale ordinario di Roma evidenzia l’illegittimità della procedura adottata dagli uffici e si rimette in discussione tutto. La sindaca Raggi  prenda atto di questo, revochi le 800 lettere e affronti subito la situazione sul piano politico e amministrativo: c’è un regolamento in discussione da troppo tempo, serve un intervento politico di fronte a un fatto nuovo che cambia il quadro e offre l’opportunità, all’interno del rispetto delle regole, di bloccare questi inaccettabili interventi in atto. Bisogna riscrivere al più presto la delibera.

Secondo la consigliera del MoVimento 5 Stelle Gemma Guerrini, però, «riscrivere una delibera che tutti consideriamo sbagliata è come rappezzare una cosa peggiorando la situazione. Ciò che questa amministrazione sta facendo è una delibera di giunta attraverso cui, in attesa dell’approvazione del nuovo regolamento, che l’amministrazione ha iniziato a scrivere, viene data priorità agli sgomberi delle associazioni non socio-culturali a partire dalle sedi dei partiti e dai locali commerciali.
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Cerchiamo di evitare le situazioni evidentemente più a rischio che invece meritano attenzione, che però non può essere un favoritismo a pioggia riscrivendo una delibera sbagliata». In realtà però quello che sostiene Guerrini è stato smentito proprio dall’assessore Mazzillo al Rialto a fine febbraio. In quell’occasione l’assessore al bilancio ha detto chiaramente che l’amministrazione comunale già stabilito nella 140 una priorità agli sgomberi di quelle associazioni che non svolgono funzioni utili per la collettività e di interesse pubblico:

Allora cosa è successo la 140 dava un ordine di priorità e ovviamente le realtà che lavorano e operano nell’interesse pubblico erano all’ultimo e quindi si pensava che attraverso un’opera veloce di costruzione di un regolamento, fatto il regolamento subito si mettevano a bando tutti gli spazi ed era risolto il problema. Il regolamento lo stiamo ancora facendo, quello che è uscito fuori dagli uffici è risultato – da parte della Commissione – non applicabile cioè non era utile per le finalità di cui ci stiamo parlando adesso.

Quindi dal momento che il Comune si è mosso tardi i provvedimenti di sfratto hanno già raggiunto le associazioni che operano nell’interesse pubblico. Il lavoro che la Giunta starebbe facendo ora quindi sarebbe del tutto inutile perché la questione dello sfratto delle sedi di partiti e locali commerciali è già stata risolta. L’unica soluzione che si profila all’orizzonte per non fare tabula rasa dell’associazionismo romano degli ultimi trent’anni è quella politica: annullare la delibera 140. In alternativa il Comune si troverà nella spiacevole posizione di dover veder annullare dalla giustizia amministrativa, come è già successo qualche giorno fa, le notifiche di sfratto.
 
 

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