Contro il feticcio del 3% (e chi ne abusa)

di Massimo Famularo

Pubblicato il 2018-08-30

Puntuale come la morte e le tasse, alla fine dell’estate si torna a parlare di manovra di bilancio e, altrettanto puntuali, arrivano le critiche preventive nei confronti del rigore nei conti e del rispetto dei parametri di riferimento quali ad esempio il limite del 3% nel rapporto deficit PIL. Si tratta per lo più di argomenti …

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Puntuale come la morte e le tasse, alla fine dell’estate si torna a parlare di manovra di bilancio e, altrettanto puntuali, arrivano le critiche preventive nei confronti del rigore nei conti e del rispetto dei parametri di riferimento quali ad esempio il limite del 3% nel rapporto deficit PIL. Si tratta per lo più di argomenti fantoccio, buoni per ottenere ragione sotto il profilo strettamente formale, allontanando la discussione dal merito delle questioni veramente rilevanti. C’è un fondamento scientifico nel limite del 3%? Si tratta di una convenzione arbitraria come l’età necessaria per guidare un’automobile, o per votare, che varia nel tempo e tra diversi paesi? Per fare un po’ di chiarezza, anche a fronte delle legende metropolitane, secondo le quali il numero sarebbe un accidente storico dovuto a un funzionario francese, è intervenuta sul Foglio Veronica De Romanis spiegando che:

“la soglia del 3 per cento per il disavanzo non è un numero scelto a caso. Deriva, in realtà, da un semplice calcolo numerico. Negli anni Novanta, con una crescita reale media del prodotto interno lordo dell’ordine del 3 per cento, un tasso d’inflazione intorno al 2 per cento, e un debito medio dell’area pari intorno al 60 per cento, un paese con un saldo di bilancio al di sotto del 3 per cento avrebbe potuto ridurre il proprio debito pubblico e raggiungere cosi la soglia del 60 per cento fissata nel Trattato di Maastricht.”

Dunque, non si tratta di far contento qualche sadico burocrate teutonico, ma di avere delle finanze pubbliche sostenibili e un rapporto debito/Pil che nel tempo converge. Ok, chiarito che il fondamento c’è, con quanta rigidità vanno affrontati questo tipo di parametri? Cosa cambierebbe se fosse 2,5% o 3,4%? Sul punto è intervenuto il direttore dell’Osservatorio CPI, Carlo Cottarelli, che in un video ha provato a spiegare il modo corretto di affrontare la questione con un esempio: se in un tratto stradale il limite di velocità è posto 50km/h, vuol dire che una velocità più elevata espone al rischio di causare degli incidenti. Si può discutere sul livello al quale la soglia è stata posta sia o meno corretto, ma questo non incide sulla relazione tra velocità eccessiva e probabilità che si verifichino degli incidenti e dunque sulla necessità di fornire agli automobilisti un’indicazione su quale sia la velocità massima da tenere. Sulla relazione di fondo tra dinamica del rapporto tra debito e pil e la possibilità che un paese vada incontro a una crisi finanziaria e perda l’accesso al mercato l’economista ha anche segnalato una ricerca da lui elaborata in collaborazione con Andrea Presbitero e Antonio Bassanetti.

luigi di maio giovanni tria

Per riassumere, il deficit di bilancio di uno stato influenza la dinamica del debito: ad ogni nuovo deficit corrisponde infatti un aumento dello stock di debito pubblico. La dimensione di quest’ultimo in rapporto al PIL e l’evoluzione nel tempo del rapporto Debito/PIL hanno una influenza rilevante sul rischio che un paese vada incontro ad una crisi di fiducia (quest’ultima per l’Italia è misurata ad esempio dallo spread verso i Bund tedeschi, in crescita da quando si è insediato il governo Conte) e non riesca a collocare il proprio debito sui mercati. Dunque il limite posto al 3%, nel rapporto deficit PIL non è una soglia arbitraria da negoziare con i burocrati, ma un indicatore di sicurezza concepito per metterci al riparo dal percorso che potrebbe portarci verso una dolorosa crisi finanziaria.

Capito che è ha un senso indicare una soglia di riferimento e che lo scopo della soglia è prevenire crisi di fiducia, quanto è preciso o trattabile il limite del 3%? Tornando ai numeri ripotati dalla De Romanis, rimanere sotto il 3% è consigliabile in un sistema con debito medio pari al 60% del PIL, crescita media reale di PIL intorno al 3% e inflazione intorno al 2%. Come siamo messi in Italia su questi valori? Il rapporto debito/PIL è più che doppio attestandosi intorno al 130%, la crescita è molto inferiore, in media 0.3% negli ultimi 18 anni (-0,5% negli ultimi 10) secondo i dati della banca mondiale. Quanto all’inflazione, la media degli ultimi 18 anni è pari a circa il 2%. Insomma a guardare bene i numeri, la soglia del 3% è posta a un livello anche troppo generoso e, se il nostro paese ha scongiurato una crisi di fiducia è probabile che sia dovuto all’adesione all’area euro e di conseguenza all’intervento della Banca Centrale che, come specificato in un celebre discorso del presidente Draghi, ha fatto “tutto quello che è stato necessario” per evitarla.

In conclusione, considerando l’elevato stock di debito pubblico e la storia di scarsa crescita economica, il rapporto deficit/pil costituisce un importante termometro che misura la salute finanziaria del nostro paese e la dimensione del rischio di non riuscire a raccogliere sui mercati quanto necessario all’ordinario funzionamento dello stato. Gli operatori finanziari, che non si lasciano abbindolare dalla retorica dei politici, ma hanno a cuore solo la sicurezza dei propri investimenti, hanno già iniziato ad alleggerire le proprie posizioni sul debito italiano, come testimoniato dalla dinamica recente dello spread verso il bund tedesco. Mettere in discussione il limite del 3%, concepito per contesti di finanza pubblica ben migliori di quello italiano di oggi, o contestare la necessità stessa di avere una soglia di riferimento, vuol dire scherzare con il fuoco in modo irresponsabile.

*** Massimo Famularo è un investment manager esperto di crediti bancari in sofferenza che lavora a Milano. Qui la sua bio

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