Decreto Sicurezza, i 19 deputati “ribelli” M5S in rivolta

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-11-20

Una lettera di 19 deputati propone emendamenti al provvedimento approvato con la fiducia al Senato. Se cambia, l’iter ricomincia. E una “manina” passa tutto ai giornali. Ma non è la solita…

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Diciannove deputati del MoVimento 5 Stelle contro il Decreto Sicurezza e l’ombra di una “manina”, stavolta vera, che passa le notizie a quelle puttane dei giornalisti. C’è un po’ di tutto nel nuovo caso scoppiato in Parlamento sul provvedimento di Matteo Salvini che sta facendo storcere in naso a molti all’interno del M5S, tanto che ieri una lettera dei 19 al capogruppo grillino Francesco D’Uva è trapelata attraverso l’Adn Kronos e rischia di causare un bis alla Camera dopo la querelle di Gregorio De Falco e la macchina del fango nei confronti dell’ex capitano.

Decreto Sicurezza, M5S in rivolta

Nel dettaglio, le modifiche proposte ricalcano già quelle presentate senza successo dai colleghi ortodossi a Palazzo Madama: l’intento di ridimensionare lo stop agli Sprar, più chance di ottenere la protezione umanitaria per i migranti, l’ammorbidimento di misure come quelle sull’accattonaggio molesto. Sì, sono alcuni dei temi cari all’ala vicina a Roberto Fico. Ma in quella lettera c’è qualcosa di più che meri dubbi di merito. C’è anche una critica aperta alla gestione politica, al modo in cui in generale vengono prese le decisioni. «Ci sarebbe piaciuto confrontarci in tempi e modi adeguati affinché una posizione condivisa emergesse», «concludiamo, non più sperando in maggior collegialità e condivisione, come facciamo da tempo, ma chiedendo la con forza». E anche qui c’è un giallo: secondo il Fatto la lettera è stata fornita ai giornalisti da uno dei 19; il Messaggero invece propone una ricostruzione più articolata e in linea con il clima che si respira a Montecitorio e a Palazzo Madama. La lettera doveva rimanere segreta e doveva servire ad aprire una discussione sul DL Sicurezza all’interno del MoVimento 5 Stelle: ma sono stati i capi grillini a farla girare affinché la vicenda funzionasse da monito per eventuali ribelli.

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La missiva, in realtà, non avrebbe mai dovuto diventare una notizia. Nelle intenzioni dei firmatari sarebbe dovuta restare confidenziale. «Ma poi qualcuno ha deciso di darla in pasto ai taccuini, insieme ai nostri nomi e cognomi», commenta uno dei cosiddetti “ribelli”. Velina? C’è di mezzo una manina? «La verità è che si è usato lo stesso metodo utilizzato con i cosiddetti dissidenti al Senato: sono stati gli stessi vertici a dare in pasto le loro posizioni a tutti, in modo che anche noi finissimo nel tritacarne proprio come i senatori Nugnes, De Falco,Fattori, Mantero e La Mura che poi sono stati costretti a difendersi sui giornali, assaliti dai militanti sui social», dice amareggiato un parlamentare.

«Che gelida manina, se la lasci riscaldaaar….»

Insomma, il M5S da una parte se la prende con le manine, dall’altra le usa. D’altro canto il M5S con il decreto sicurezza non può scherzare, se non altro perché Salvini ha già pagato i manifesti che ne celebrano l’approvazione e la conferenza stampa con Giuseppe Conte che regge il cartello è già un cult presso gli istituti di geopolitica che si occupano dell’indipendenza delle istituzioni dalla politica politicante. I 19 deputati che hanno firmato la lettera contro il decreto sicurezza sono Valentina Barzotti, Raffaele Bruno, Santi Cappellani, Paola Deiana, Giuseppe D’Ippolito, Carmen di Lauro, Yana Chiara Ehm, Antonio Federico, Veronica Giannone, Conny Giordano, Riccardo Ricciardi, Doriana Sarli, Elisa Siragusa, Gilda Sportiello, Simona Suriano, Guia Termini, Roberto Traversi, Gloria Rizzini.

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I 19 deputati che hanno firmato l’appello (Corriere della Sera, 20 novembre 2018)

Il decreto sicurezza approderà nell’aula della Camera venerdì. Domani la maggioranza dovrebbe dare il via libera ad un altro provvedimento che ha causato molti mal di pancia: il ddl anticorruzione. Quello cioè che contiene anche lo stop alla prescrizione dopo il primo grado di giudizio a partire dal 2020 e le norme sulla trasparenza dei contributi ai partiti su cui M5s e Lega si sono scontrate in commissione. Alla fine pare si profili un nuovo accordo di mediazione.

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