Le dimissioni minacciate da Conte

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-05-04

Salvini dice che il premier non ha più la sua fiducia. Conte risponde minacciando le dimissioni. L’ipotesi voto a settembre e l’alta probabilità che si tratti dell’ennesima sceneggiata

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«È semplice: Giuseppe Conte non ha più la mia fiducia». Matteo Salvini pronuncia parole talmente definitive da far pensare che il governo Lega-M5S abbia le ore contate. In realtà nessuno oggi crede che la cacciata del sottosegretario Armando Siri, programmata per il consiglio dei ministri dell’8 o del 9 maggio, possa far crollare l’esecutivo ma stavolta è proprio il premier ad accendere la miccia minacciando a sua volta le dimissioni.

Le dimissioni minacciate da Conte

Certo, siamo in Italia. Ovvero quel paese in cui le dimissioni si minacciano spesso per non darle mai. Questo è il paese che ha inventato i penultimatum, con tutto ciò che ne consegue. In ogni caso è Francesca Schianchi sulla Stampa oggi

Il premier Giuseppe Conte lo ha vissuto come una mancanza di rispetto, «a questo punto pure se sarà considerato innocente non ci sarà più posto per lui», promettono inviperiti dalle parti del capo del governo, indispettito e offeso perché, insiste chi gli ha parlato, quando chiede le dimissioni del sottosegretario indagato non lo fa nelle vesti di professore ma di presidente del consiglio, cioè una istituzione che va rispettata.

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Così fuori di sé da essere arrivato a minacciare «un gesto eclatante»: persino le dimissioni, se dalla Lega e dal suo leader arrivassero frasi o gesti considerati offensivi o provocatori, come sarebbe disertare il Consiglio dei ministri clou dell’inizio della settimana prossima.

Una crisi di governo prima delle elezioni europee però è uno scenario a cui nessuno crede. D’altro canto il voto nel consiglio dei ministri sembra scontato: otto sono i ministri M5S, sei sono i leghisti. Scrive oggi il Corriere che prima di mercoledì, ci sono in calendario altri due appuntamenti importanti per la maggioranza. Il primo,sponsorizzato dalla Lega, è l’incontro di lunedì, tra il presidente Conte e la ministra leghista Erika Stefani, per tentare una mediazione in extremis sulla complicatissima partita dell’autonomia regionale che i grillini hanno bloccato; il secondo, atteso con ansia dal M5S, è il voto di martedì alla Camera sul taglio di un terzo dei parlamentari che potrebbe forse essere rallentato con un emendamento non ostile se la Lega si accordasse con PD e Forza Italia.

L’ipotesi di voto a settembre

Il Messaggero in un articolo a firma Alberto Gentili racconta che il Quirinale si prepara all’eventualità atomica di un voto a settembre. Ovvero, se davvero Conte cade Mattarella cercherà, come gli impone la Costituzione, una maggioranza alternativa che si potrebbe formare con il centrodestra unito e i transfughi grillini (ma alla Camera dovrebbero essere davvero tanti a mollare il M5S).  È invece ritenuta ormai «bruciata» l’ipotesi di un esecutivo formato da M5S e Pd (un anno fa in tentativo fu fatto, inutilmente).

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L’esperienza del fallimento della Soluzione Cottarelli ha però aiutato Mattarella a capire che questa strada è praticabile. Altrimenti c’è quella del voto a settembre:

Nelle scelte del capo dello Stato il calendario risulterà essenziale e lo sarà proprio per la questione della legge di bilancio e per l’imperativo di evitare l’esercizio provvisorio.

Così, se com’è probabile non si aprirà la crisi nei prossimi giorni e dunque non si potrà votare tra fine giugno e inizio luglio (dallo scioglimento delle Camere devono passare non meno di 45 giorni e non più di 70), con ogni probabilità in caso di collasso dell’esecutivo giallo-verde Mattarella scioglierà a metà luglio, in modo da svolgere le elezioni a inizio settembre. Una campagna elettorale d’agosto sotto l’ombrellone non si è mai vista.

Ma, almeno sulla carta, ci sarebbero i tempi tecnici (risicati) per formare un nuovo governo in grado di affrontare la sessione di bilancio.

A meno che non scoppi la pace improvvisamente.

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