Cosa c’è dietro Conte che caccia Siri

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-05-03

Da tre giorni il sottosegretario veniva invitato a dimettersi e faceva orecchie da mercante di fronte all’ipotesi. Ieri ha annunciato l’addio in 15 giorni solo perché sapeva della conferenza stampa di Conte. Il quale si è arrabbiato

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Anche Giuseppe Conte nel suo piccolo s’incazza. Il presidente del Consiglio ieri ha ufficializzato la cacciata di Armando Siri, indagato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta nata dalle indagini della DIA di Palermo su un imprenditore accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e sospettato di aver finanziato la latitanza di Matteo Messina Denaro. E i retroscena raccontano che l’annuncio di ieri è arrivato al termine di un lungo tira e molla con il sottosegretario ai trasporti.

Cosa dietro Conte che caccia Siri

Il Corriere della Sera racconta infatti che Conte aveva chiesto a Siri di dimettersi già tre giorni fa, dopo il loro incontro di persona, lunedì sera. E glielo aveva ripetuto più volte al telefono ieri, incontrando ancora una volta la sua determinazione a resistere.

Verso ora di pranzo Siri spiegava così la sua linea al presidente del Consiglio, sperando potesse bastare: «Io resto al mio posto perché sono convinto di poter dimostrare la mia totale innocenza in questa storia. In ogni caso a decidere sarà il governo nella sua collegialità». Dove quella parola,collegialità, stava a indicare che a fare pesare la bilancia del suo destino da una parte o dall’altra non dovesse essere solo il premier Conte ma anche il vicepremier, e suo capo politico, Matteo Salvini.

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Siri crede di aver inventato la flat tax (LOL)

Non solo. Dopo l’annuncio della conferenza stampa di Conte, Siri ha concordato con Salvini l’ideona del comunicato in cui annunciava le dimissioni tra 15 giorni, un’ideona condita dalla divertente ipotesi che i magistrati potessero “assolverlo” dopo averlo ascoltato. Una sciocchezza, ma se è vero – come afferma un titolo del Corriere di oggi – che Siri ritiene di essere l’inventore della flat tax (in realtà proposta in tempi moderni da Milton Friedman, già utilizzata al tempo dei Medici a Firenze e presente nel programma elettorale di Forza Italia nel 1994, appena 25 anni fa), non è certo la più grossa che ha detto in questi giorni.

Salvini è piuttosto arrabbiato

Secondo Repubblica prima di dar fuoco alle polveri Conte ha cercato Matteo Salvini, senza ottenere risposta. Così entra in sala stampa e dice chiaramente: o dimissioni o decreto. Parlando in punta di diritto dell’interesse che deve perseguire un uomo di governo: quello generale, non quello di singoli partiti. Di Maio ha fatto sponda, ma i problemi cominciano ora:

Anche in tv lancia un appello al ministro dell’Interno: «Superato il caso Siri vediamoci, parliamoci e lavoriamo il più possibile nell’interesse degli italiani». Non dice però come il caso possa essere superato, se non arriverà il passo indietro del sottosegretario. Perché se davvero nel prossimo Consiglio dei ministri, il 7 o l’8 maggio, si andrà a votare un decreto di revoca voluto dal Movimento 5 stelle e non dalla Lega, il governo sarebbe ufficialmente spaccato. Forse finito.

Il capo politico M5S lo sa ma non vede vie d’uscita: il salvataggio di Salvini dalla richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Diciotti è già costato carissimo in termini di consenso e di compattezza interna.

Intanto Valeria Pacelli sul Fatto spiega che quando Siri incontrerà i magistrati non sarà un interrogatorio. Tramite il suo legale infatti nei giorni scorsi ha depositato un’istanza ai pm di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi per chiedere di rendere spontanee dichiarazioni.

Atto istruttorio che potrebbe esserci già la prossima settimana (massimo riserbo sulla data) ma che di fatto vede un ruolo non attivo del l’accusa. Infatti con le spontanee dichiarazioni è l’indagato che spiega la propria posizione, che si difende. I magistrati non possono fare alcuna domanda né mostrare le proprie carte, ossia le prove (ancora segrete) raccolte durante le indagini.

La proposta di Siri era quindi una presa in giro, come spesso accade in questi tempi di politici che credono di essere furbi.

La caccia ai 30mila euro

Intanto i magistrati sono a caccia dei 30mila euro di tangente promessi da Paolo Arata in un’intercettazione che secondo La Verità non esisteva, ma in realtà non era stata depositata. Dal punto di vista penale, giova ricordare che secondo la legge non importa che la dazione sia stata effettivamente data o soltanto promessa. Intanto Massimo Luciani, costituzionalista, spiega al Corriere che per l’ok definitivo alle dimissioni di Siri serve la firma del Capo dello Stato.

Ma le dimissioni di Siri quando arrivano? Di Maio ha detto ieri in tv che il prossimo consiglio dei ministri con all’ordine del giorno l’atto verrà convocato l’8 o il 9 maggio. Curioso che l’abbia annunciato lui, visto che la convocazione è prerogativa del premier.

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