Fact checking
Quando Lega e M5s chiamavano “burattino” gli avversari politici
Giovanni Drogo 14/02/2019
Lega e MoVimento 5 Stelle ci spiegano oggi che chi insulta il presidente del Consiglio insulta tutti gli italiani, un’offesa gravissima e che Verhofstadt deve chiedere scusa a tutti noi. Chissà allora quando arriveranno le scuse di leghisti e pentastellati per tutti gli anni di offese “agli italiani”
Martedì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato contestato a Strasburgo dal capogruppo di ALDE Guy Verhofstadt che gli ha chiesto «Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Matteo Salvini e Luigi Di Maio?». Subito i parlamentari del MoVimento 5 Stelle e della Lega sono insorti a difesa del premier accusando l’eurodeputato belga di aver offeso tutti gli italiani.
Quando Lega e M5S dicevano che Renzi era un burattino
Il vicepremier Salvini ha voluto esprimere tutta la sua solidarietà al capo del governo ribadendo che «quei bifolchi e buzzurri insultavano un popolo e non un governo» se ne andranno presto a casa dopo le elezioni europee di maggio. Il M5S ha pubblicato un post dove scrive che Verhofstadt «ha offeso il popolo italiano e deve chiedere scusa» perché mentre il presidente Conte fa gli interessi del popolo italiano il leader di ALDE è un euroburocrate «a libro paga di multinazionali e lobby». Non è questa a sua volta un’offesa a tutti i cittadini belgi che hanno votato Verhofstadt? A fianco del M5S e del governo giallo-verde si sono schierati molti, anche giornalisti di un certo prestigio, che ritengono che l’uscita di Verhofstadt sia un’offesa al popolo italiano, sia di quelli che hanno votato per Di Maio e Salvini (ma non per Conte…) sia di coloro che si sono astenuti o hanno votato per i partiti oggi all’opposizione.
Ognuno è libero di sentirsi insultato, offeso, vilipeso perché un eurodeputato ha osato dire quello che una parte considerevole degli italiani (quelli all’opposizione) pensa riguardo all’avvocato del Popolo non eletto dal Popolo. Ma anche gli indignati più accesi e combattivi non possono chiudere un occhio (e non dovrebbero farlo a maggior ragione certi giornalisti watchdog) sul fatto che Verhofstadt ha utilizzato lo stesso linguaggio cui ci hanno abituati in questi anni proprio i due partiti di governo.
Ad esempio il 4 luglio 2014 Matteo Salvini, all’epoca europarlamentare, definiva il presidente del Consiglio Matteo Renzi un burattino nelle mani della cancelliera tedesca Angela Merkel. Non risulta che questa battuta abbia suscitato lo sdegno di chi oggi chiede ad un europarlamentare di scusarsi con tutti gli italiani.
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Tutte le volte che il M5S ha definito Renzi e Gentiloni dei burattini
Nata la naturale pacatezza e predisposizione alla continenza verbale dei politici dell’attuale maggioranza di esempi celebri ce ne sono a bizzeffe. Nel febbraio del 2014 Beppe Grillo – all’epoca Capo Politico del M5S – lanciava un sondaggio «chi tira i fili della marionetta Renzie?» con tanto di immagine esplicativa per coloro che preferiscono le figure. In un altro post del 2015 il M5S paragonava Renzi ad un pupazzo nelle mani del ventriloquo Berlusconi.
E ancora: marzo 2017, la cittadina-senatrice Vilma Moronese commentava il video di un intervento di Di Maio in Aula scrivendo «sbatte in faccia al governo Genticloni e al suo burattinaio». Quel burattinaio era ovviamente Matteo Renzi, promosso sul campo da marionetta a burattinaio di quello che Di Maio definiva “ultimo di una serie di premier non eletti dal popolo”. Come si sbagliava il nostro giovane vicepremier.
Qualche tempo dopo Paola Taverna, oggi vicepresidente del Senato, offendeva tutti gli italiani dicendo che quello Gentiloni era «un governo pilotato» e spiegava che «i burattini non parlano e il burattinaio si nasconde nella stanza dei bottoni». Per illustrare il concetto la senatrice pentastellata allegava la foto di un Renzi marionettista che reggeva i fili di un Gentiloni mignon.
Alla Taverna il concetto non era del resto sgradito. Un anno prima era riuscita nel capolavoro di rappresentare Renzi sia come burattinaio che prendeva le decisioni su tutto sia come burattino-Pinocchio. Insultare Renzi era lo sport preferito dei pentastellati ed un passatempo irrinunciabile per ogni politico a 5 Stelle che volesse essere degno di questo nome.
Alla Camera ci pensava ad esempio Alessandro Di Battista che definì Matteo Renzi «burattino dei poteri forti» e «mero esecutore dei diktat delle concessionarie del gioco d’azzardo» ma al tempo stesso condizionato dal grande burattinaio De Benedetti.
Si dirà: ma questo succedeva solo in Italia. Sbagliato: l’europarlamentare Ignazio Corrao nel 2014 parlava di «quel burattino di Renzie». Nessuno ha chiesto a Corrao o a Di Battista o a Taverna di scusarsi con gli italiani. Forse era perché molti giornalisti ci raccontavano che era un premier non eletto e quindi andava bene così. Eppure anche Conte non è eletto dal Popolo. E proprio come Renzi (e a differenza di Letta e Gentiloni) non era nemmeno eletto in Parlamento al momento della sua nomina.
Qualcun altro potrà dire che in fondo si tratta di dinamiche interne della politica italiana, di scontri politici e che nessuno si è mai permesso di insultare un premier di un altro Stato membro dell’Unione Europea. Ma non è così: la deputata Maria Edera Spadoni nel 2016 definì il premier greco Alexis Tsipras «un fantoccio ridicolo, burattino di un’Europa che ha massacrato la sua gente». Vi ricordate di qualche vibrante editoriale a difesa del popolo greco che aveva legittimamente scelto Tsipras a governarlo?
Gli esegeti più raffinati della politica dell’insulto potrebbero invece cimentarsi nella soluzione di un problema linguistico. È più grave se un europarlamentare critica l’operato del premier (esattamente come hanno fatto schiere di pentastellati prima di lui) dandogli del burattino o se il fondatore di un MoVimento politico dice che il presidente francese è un «vibratore della collezione più vecchia della maestra» con le pile scariche diffondendo al tempo stesso anche una bufala?
Insomma delle due l’una: o dare del burattino ad un premier è un’offesa gravissima a tutti gli italiani per cui chiunque deve chiedere scusa oppure si prende atto che il partito nato da un vaffanculo non ha margini per fare la verginella e scoprire oggi, dopo aver delegittimato per cinque anni coloro che sedevano a Palazzo Chigi, che forse dire certe cose non è un insulto alla persona ma all’istituzione. Per questo l’unica speranza per Conte è che qualcuno gli faccia il picio, altrimenti rimarrà sempre un burattino senza fichi.