«Fare il referendum sull’Atac per poter far viaggiare gratis i cittadini»

di Maurizio Stefanini

Pubblicato il 2018-10-17

“Quale sarebbe la rivoluzione? Il biglietto gratis”. A parlare con Nextquotidiano è Francesco Mingiardi: avvocato specialista in materia di appalti, dirigente di Radicali Italiani e Radicali romani, e soprattutto presidente del Comitato per il Sì Mobilitiamo Roma.

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“Quale sarebbe la rivoluzione? Il biglietto gratis. Fare il referendum sull’Atac in modo da potere nel caso far viaggiare gratis i cittadini”. A parlare è Francesco Mingiardi: avvocato specialista in materia di appalti, dirigente di Radicali Italiani e Radicali romani, e soprattutto presidente del Comitato per il Sì Mobilitiamo Roma.

Torniamo con lui appunto su quel tema del referendum dell’11 novembre che abbiamo già affrontato col consigliere regionale del Lazio Alessandro Capriccioli. Ricordiamo che già Capriccioli ci aveva ricordato come ogni cittadino romano deve pagare 170 euro all’anno per ripianare il costo dell’Atac. Mingiardi ne elabora questa “modesta proposta”

In pratica, ogni biglietto costa 7,50 euro. 1,50 sono pagati dall’utente. Gli altri 6 derivano o da trasferimenti, o da deficit. Immaginiamo che una gara di appalto riduca le inefficienze al punto da portare il costo effettivo a 6 euro. A quel punto, a parità di spesa il Comune potrebbe offrire ai cittadini romani il trasporto gratis.

I trasporti gratis sono un esperimento che sta venendo già fatto in alcune realtà. Ma questo vorrebbe dire allora che il referendum dell’11 novembre sta venendo fatto non per privatizzare il servizio ma per darlo gratis?

Ovviamente, è una provocazione. Ma una cosa del genere potrebbe anche emergere dal dibattuto. Lo scopo del referendum avrebbe dovuto essere anche quello di suscitare un dibattito sul problema del trasporto a Roma.

E invece il dibattito latita…

Il dibattito latita, e si ripete anzi che noi spingiamo per la privatizzazione dell’Atac. Al contrario. Semmai la privatizzazione è quella che c’è adesso, con un servizio pubblico costretto all’interno di una società di capitali privata. In questo modo si legano le sorti del servizio pubblico alle sorti di una Spa che fatalmente sta andando verso il fallimento. È in concordato preventivo, deciderà il Tribunale a dicembre. Il discorso è molto tecnico, ma se vogliamo è anche molto politico, allo stesso tempo. Costringere un servizio all’interno di una società di capitali significa di fatto legare le sorti del servizio alle sorti della società che lo eroga, mentre invece un Comune dovrebbe essere in grado di gestire un servizio in quanto tale. Noi vorremmo invece recuperare il valore della funzione pubblica, che è quello di pianificare un servizio. Vorremmo affidarlo tramite gara in modo da poterne poi controllarne l’erogazione con la necessaria terzietà. Con il distacco che deriverebbe dall’essere committente di un servizio – e non committente del servizio e erogatore del servizio allo stesso tempo. È evidente che da ciò è derivato questo debito mostruoso. Negli anni l’Atac è stata utilizzata come un bacino elettorale nell’interesse dei partiti di governo, per attribuire poltrone e beneficiare di voti. Tutti interessi che non hanno nulla a che fare con l’erogazione di un servizio pubblico.

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L’autobus esploso in Via del Tritone

E perché il dibattito latita?

Evidentemente, i partiti hanno difficoltà a prendere posizioni aperte su un tema che riguarda 13.000 dipendenti.

Si può tracciare una mappa di quello che stanno facendo le forze politiche?

C’è il Comitato per il Sì, promosso da Radicali e anche da professori interessati a suscitare dibattito, Alessandro De Nicola ad esempio, presidente della Adam Smith Society. Vuole essere una iniziativa aperta. Ci sono tre Comitati per il No. C’è Atac Bene Comune: promosso dall’area Liberi e Uguali, con Stefano Fassina e con l’ex-assessore all’Urbanistica della Raggi Paolo Berdini. C’è un Comitato del No di sindacati. C’è Mejo de No che è promosso all’interno del Pd.

Il Pd è contro?

Il Pd è diviso. Roberto Giachetti ha aiutato a raccogliere le firme. Walter Tocci, ex-assessore alla Mobilità, è favorevole. Ma Eugenio Patanè è contrario. A gennaio hanno detto che avrebbero fatto un referendum sul referendum per decidere, ma a meno di un mese dal voto non se ne sa ancora niente. Di fatto, l’unico comitato che nel Pd è nato è per il no.

Il centro-destra?

Berlusconi ha lasciato libertà di schieramento. Fratelli d’Italia si è detta contro, ma in pratica non fa campagna. Della Lega non si sa niente. C’era stato però un parlamentare leghista che si era disposto a incontrare Magi quando aveva sollecitato una presa di posizione degli eletti. Parisi ha mostrato interesse, ma non ha ancora aderito formalmente.

E Marchini?

Personalmente non ha preso posizione. Però il suo consigliere Onorato ha anche lui aiutato a raccogliere le firme.

E i Cinque Stelle? La Raggi è stata accusata di stare sabotando la consultazione…

Virginia Raggi ha detto che i cittadini romani si sono espressi sul tema quando l’hanno eletta sindaco. Flagrante contraddizione rispetto a tutti gli slogan dei Cinque Stelle sulla democrazia diretta. In Compenso i Cinque Stelle in Consiglio Regionale hanno votato a favore dell’emendamento di Capriccioli per finanziare il diritto all’informazione dei cittadini.

 

Insomma, sono divisi anche loro…

Ma non fanno campagna. Assolutamente. Lo riteniamo un male perché, ripeto, il referendum era stato voluto soprattutto per suscitare dibattito nella città. Un referendum senza una adeguata informazione, senza dibattito, è solo nocivo. Non siamo degli integralisti dei referendum, tutt’altro. In realtà il referendum funziona se riesce a far nascere un dibattito. È una situazione che stiamo soffrendo noi e che stanno soffrendo i cittadini.

Le cito un manifesto visto per strada. “A Radicà pii 12.800.000€ di fondi pubblici annui x la tua radio e voi atac privata?!?!?!?! Hai er culo in faccia!!!!!!!!”. Non si capisce bene che lingua sia: italiano non è, ma in romanesco si dovrebbe scrivere “piji” e non “pii”, “ciai” e non “hai”… Ma lasciamo un attimo da parte la filologia romanistica. Come risponde all’obiezione?

Radio Radicale ha vinto una gara per il servizio pubblico di informazione parlamentare! Noi chiediamo appunto che sia fatta una gara del genere anche per il servizio pubblico di trasporto. Riuscissero i trasporti di Roma ad andare con la stessa efficienza con cui Radio Radicale trasmette dal Parlamento!

Cito anche un commento ricevuto, sull’intervista a Capriccioli. “Signori, ma come potete pensare che uno sano di mente, possa essere interessato ad una impresa che ha come obiettivo il 35% dei propri COSTI!!!! A Torino, questo è il livello target, forse al momento sono arrivati al 40%, rimane comunque il 60% dei costi da ripianare a fine esercizio. E fare il referendum (a Roma come a Torino o Milano) è una favolosa perdita di tempo, da mo’ sono in cerca di un compratore, non sono semplicemente presentabili……”

Sempre lo stesso punto. Qua non si tratta di dare a gara l’Atac. Si tratta di affidare un servizio. È evidente che il Comune deve fornire infrastrutture. Locali, autorimesse. Purtroppo, col fallimento anche quelle infrastrutture sarebbero a rischio. Invece quelle infrastrutture potrebbero essere messe al servizio di chi da fuori vorrebbe a fare il servizio. Gli autobus potrebbero essere presi in leasing, a noleggio, o con 1000 altre formule. A me piace pensare a una gara con molti soggetti perché qualsiasi dovesse essere l’ipotetica gara se si presentasse un concorrente solo – privato o pubblico – sarebbe una sconfitta. Se c’è un solo operatore, può fare esattamene quello che gli pare. Ci vuole invece concorrenza nel mercato, e ciò significa dividere la città in lotti, attribuirla a gara a più operatori, in modo che se un operatore non funziona non si ferma la tratta, ma può venire subito sostituito da un altro operatore.

Leggi sull’argomento: «Vi spiego a cosa serve il referendum per la liberalizzazione dell’Atac»

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