Ma davvero basterà il MOSE per salvare Venezia?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-11-15

Il sistema di paratoie mobili che si dovrebbero alzare in caso di alta marea per proteggere Venezia e la sua laguna non è ancora stato collaudato e non è mai stato testato. Oggi la politica si aggrappa al prodigio della tecnica per promettere che in futuro tutto andrà bene. Ma il MOSE potrebbe non bastare

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«Non è più tempo di perdere tempo, questa città grida aiuto, c’è bisogno di mettersi tutti insieme per ultimare il MOSE», così il senatore della Lega Matteo Salvini che oggi è in visita a Venezia. La città lagunare è stata travolta da una marea eccezionale che ha causato due morti e inflitto danni per milioni di euro. Ma non è solo Salvini ad aggrapparsi al MOSE, lo chiedono anche il Presidente del Veneto Luca Zaia, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Ma pure uno come Massimo Cacciari, che da sindaco si è sempre battuto perché il MOSE non si facesse ha detto che ora tanto vale finirlo.

Il MOSE poteva salvare Venezia il 12 novembre?

In teoria il MOdulo Sperimentale Elettromeccanico con le sue 78 paratoie mobili posizionate alle quattro bocche di porto della Laguna di Venezia dovrebbe essere consegnato a fine del 2020. L’entrata in servizio è prevista per il 2022, ma meglio non fare troppe previsioni per un’opera che al momento è completa al 93% e di cui si sa con una buona approssimazione solo quanto è costata e quanto costerà: quasi sei miliardi di euro. Ai quali vanno aggiunti i costi per la manutenzione (si parla di un centinaio di milioni di euro l’anno) nonché quelli di funzionamento (perché alzare le barriere ha un costo). Un cantiere infinito quello del MOSE, un progetto di cui si parla dagli anni 80 e che per alcuni – come Beppe Caccia – al momento della posa della prima “pietra” del cantiere (nel 2003) era già vecchio.

a che punto è il mose
A che punto è il Mose (La Stampa, 14 novembre 2019)

Ma immaginiamo che domani, per una straordinaria congiunzione astrale tutti i soggetti politici e amministrativi (Governo, Regione, Commissari, Magistrato alle Acque) si muovano compatti verso la direzione obbligata: finire il MOSE al più presto. Cosa succederà quando arriverà la prima alta marea dell’era delle dighe mobili veneziane? La domanda non è peregrina perché ad oggi esistono modelli, simulazioni tecniche e matematiche, ma nessuno sa se il MOSE funzionerà. O se avrebbe funzionato in una situazione come quella dell’Acqua Alta da 187 centimetri con forti raffiche di vento della sera del 12 novembre. Secondo i tecnici anche

Un’opera che non è mai stata testata

Il Presidente del Veneto ci ha tenuto a ricordare che  il MOSE in funzione «non avrebbe in ogni caso messo in sicurezza Piazza San Marco» (che è il punto più basso della città). Zaia però sa bene che attualmente il MOSE non può essere messo in funzione. Ma per il resto della città sarebbe utile? L’ex sindaco Cacciari ha ribadito un dato di fatto che ai più potrà sembrare strano: in tutti questi anni non è mai stata testata la funzionalità del sistema di salvaguardia della città di Venezia. Un test avrebbe dovuto essere svolto (le paratoie sono tutte già posizionate) nei giorni scorsi l’avvocato Giuseppe Fiengo aveva chiesto di alzare almeno le paratoie alla bocca di porto del Lido. Ma l’altro commissario l’ingegnere Francesco Ossola, ha espresso parere negativo. Alzare solo quel settore non sarebbe stato risolutivo anzi avrebbe potuto aggravare la situazione “insaccando” l’acqua in Laguna.

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La cronologia dei lavori e dei ritardi del MOSE (Corriere della Sera, 14 novembre 2019)

Insomma, per il MOSE, dopo oltre trent’anni è ancora presto. Come spiega Francesco Ossola il «commissario tecnico» del progetto «nel 2019 erano previsti solo dei test di sollevamento che stiamo svolgendo». Di fatto si sta verificando che le paratoie si sollevino ma non è stato mai eseguito un test completo né un collaudo dell’opera. L’altra sera si sarebbe potuto alzare lo stesso il MOSE come dice Zaia? La risposta è no per due ragioni. Continua Ossola nella sua intervista al Corriere del Veneto: la prima è che «c’è un problema di risorse umane. Per alzarle in modalità manuale servono quattro squadre, una per ogni schiera, di una ventina di persone ciascuna. Noi ne abbiamo una, per ora, che serve per i test». La seconda è di carattere amministrativo: per sollevare il MOSE prima del collaudo servono autorizzazioni di Protezione Civile e Prefettura. Manca il personale, il MOSE non è ultimato né collaudato, la catena di comando del sistema è lunga. Queste le ragioni che hanno impedito di utilizzarlo tre giorni fa.

Ma il MOSE da solo non è sufficiente

Ma il resto funziona? La risposta non è delle più incoraggianti. Come riferisce il Fatto Quotidiano il test di sollevamento effettuato qualche settimana fa a Malamocco non è andato a buon fine a causa di vibrazioni non previste generate dalle staffe di supporto.  Durante i sollevamenti parziali della barriera di Malamocco, il 21 e 24 ottobre scorso, sono state riscontrate delle vibrazioni in alcuni tratti di tubazioni delle linee di scarico. Un altro test era previsto per il 4 novembre ma è stato cancellato (per la cronaca i test costano 100mila euro l’uno).

Altri dubbi? Uno su tutti il vento. C’è chi dice che con raffiche di vento forti (fino a 100 km/h) come quelle dell’altra sera il MOSE non avrebbe retto. Gli ingegneri assicurano che in base ai modelli matematici il software di gestione (che per il momento non è ancora stato calibrato e quindi non funziona) sarà in grado di attenuare l’effetto del vento. C’è però chi sostiene che quando il MOSE entrerà in funzione sarà troppo tardi, perché il progetto non ha tenuto conto dell’innalzamento dei livello dei mari e degli effetti del cambiamento climatico. «Crescerà il livello del mare e sarà tutto un altro scenario – spiega al Messaggero l’ingegnere Giovanni Cecconi –  Nei dieci anni a venire dovremo ragionare sulla flessibilità operativa della gestione del sistema, e studiare gli effetti del vento in modo da schermare le sue oscillazioni visto che il clima si sta estremizzando e i venti sono sempre più intensi e di breve durata. La laguna già oggi non è più quella di una volta con l’acqua calma che cresce per ore e ore, oggi ci sono masse d’acqua che viaggiano come martelli».

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Fonte: La Nuova Venezia del 6 /4/2019

La vera domanda quindi non è tanto se il MOSE funzionerà, se le paratoie si alzeranno e bloccheranno la marea. La domanda è se da solo basterà a risolvere il problema delle maree eccezionali. Secondo il professor Luigi D’Alpaos, docente di idrologia dell’Università di Padova e uno dei massimi esperti della Laguna, bisogna pensare anche ad altri interventi. Uno su tutti bloccare l’erosione e lo scavo dei canali, in particolar modo quelli utilizzati per il traffico delle grandi navi mercantili e da crociera che hanno esposto la città alla forza delle mareggiate. «Il Mose, lo sappiamo, non sarà la soluzione. Eventi improvvisi, sempre più frequenti, aggravati dal vento e dalle condizioni meteo imprevedibili. Per difendersi dalle acque alte in aumento occorre avere una visione strategica. E pensare seriamente alla difesa per insulae» diceva D’Alpaos in un’intervista alla Nuova Venezia del 6 aprile scorso. Cosa sono le Insulae? Sono dei «perimetri a quota sufficientemente elevata per poter proteggere quegli abitati o quelle zone degli abitati dalle maree di un metro e venti o un metro e trenta» un tipo di intervento che era stato proposto già anni fa prima che la politica si appiattisse sulla visione tecnica del Consorzio Venezia Nuova, il concessionario del MOSE. Con un approccio integrato di questo tipo si potrebbero limitare le chiusure del MOSE solo agli eventi veramente eccezionali lasciando la Laguna libera di respirare, perché è impensabile poter tenere alzate le dighe per giorni. Quella sì sarebbe la morte di Venezia e della sua laguna.

 

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