Come l’Autonomia delle Regioni del Nord porterà via da Roma soldi e dipendenti

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2019-02-02

Il progetto di legge a cui si lavora in segreto prevede 21 miliardi in meno di competenze (e quindi di dipendenti) per Roma Capitale. A questi qui, che hanno sprecato soldi per ottenere quello che si poteva ottenere con una raccomandata, adesso vogliono dare maggiore potere di spesa. Ma vi sembra normale?

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L’Autonomia delle Regioni del Nord, ovvero la secessione dei ricchi, porterà via da Roma 21 miliardi e migliaia di dipendenti pubblici. Mancano meno di quindici giorni alla scadenza prevista per presentare al presidente del Consiglio le intese sull’autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e diventa sempre più concreto il rischio di svuotamento di funzioni amministrative e quindi risorse e competenze.

 

Come l’Autonomia delle Regioni del Nord porterà via da Roma soldi e persone

«Le amministrazioni alle quali saranno sottratte funzioni», ragiona un alto dirigente pubblico con il Messaggero, «si troveranno ad avere una oggettiva ridondanza di personale. Chi lavora sul territorio», spiega, «seguirà la funzione, ma chi lavora nei ministeri no. Per Roma ci sarà un problema gigantesco». Con il progetto Autonomie il Nord spoglierà Roma di risorse e ministeri, ma anche i dipendenti pubblici: la Lombardia ha 412mila lavoratori del pubblico impiego. I dipendenti regionali e quelli della sanità sono circa 166 mila in tutto, gli altri 246 mila fanno capo allo Stato centrale. In Veneto ci sono 226 mila dipendenti, 32 mila circa della Regione e 60mila della sanità. Gli altri 134mila sono comandati dallo Stato. In Emilia Romagna i numeri sono simili: 227mila dipendenti totali, circa 100 mila dei quali già in capo alla Regione.

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L’autonomia del Nord e le risorse per Roma (Il Messaggero, 2 febbraio 2019)

Poi ci sono i lavoratori della scuola. Segnala il Messaggero:

Se passasse in capo alle Regioni il Veneto, per esempio, si troverebbe a gestire 70mila dipendenti in più in un sol colpo, ricevendo le risorse necessarie per il pagamento degli stipendi. Se tutte e tre le Regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata seguissero questo modello, il ministero della pubblica istruzione si troverebbe con quasi 240 mila dipendenti in meno. Un taglio del suo personale del 20%. E se è vero che si tratterebbe di lavoratori che già operano in quelle regioni, è altrettanto evidente che la stessa struttura ministeriale romana finirebbe per essere sovradimensionata.

Il governo sembra infatti orientato ad accettare, sia pure gradualmente, la “regionalizzazione” della scuola, a cominciare dal personale, con contratti collettivi regionali. Altrettanto viene previsto per i “fondi statali all’università”. L’obiettivo non è tanto e non è solo quello di introdurre istanze regionalistiche nell’organizzazione e nella stessa didattica, ma soprattutto quello di aumentare lo stipendio dei propri insegnanti.

Quanto costa l’Autonomia che vuole la Lega

Secondo Andrea Filippetti e Fabrizio Tuzi, due economisti del Cnr, per cinque delle 23 competenze (15 per l’Emilia Romagna) richieste dalle Regioni, il costo sarebbe di 1,2 miliardi, ma senza il personale. Se si aggiungessero i dipendenti si salirebbe di 10 miliardi, che potrebbero raddoppiare considerando tutte le altre competenze arrivando a 21 miliardi. Prendere il personale, insomma, è un punto cruciale.

Il meccanismo di trasferimento delle risorse dallo Stato alle Regioni, infatti, sarà quello dei “decimi”. Una volta calcolate le risorse da trasferire, si sceglierà un’imposta dello Stato sulla quale recuperare il gettito (l’Irpef probabilmente). Così, per esempio, il Veneto invece di restituire a Roma i dieci decimi dell’Irpef raccolta nella Regione, ne restituirà, per esempio, solo otto decimi.

In questo modo una “fetta” della torta rimarrà sul territorio a scapito del Centro. Altre Regioni è probabile che seguiranno l’esempio di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. A partire dal Piemonte e dalla Liguria. Sempre più fette, insomma, si sposteranno alla periferia“ricca”, lasciando Roma, sempre con meno risorse, a gestire le regioni “superstiti”.

Il 28 febbraio 2018 l’allora governo Gentiloni e le tre Regioni firmarono un accordo di massima, non una legge,che però non concedeva alle Regioni poteri sulle tasse. Ora il governo Conte ha fissato al 15 febbraio la firma di una nuova intesa (nel frattempo altre Regioni si sono unite alle prime tre) e intende presentare un’apposita legge, prevista dal contratto di governo Lega-M5S. A questo punto vale la pena ricordare come siamo arrivati fin qui: tutto è partito dalla raccomandata mandata dall’Emilia Romagna per chiedere autonomia (bastava quella) e dal referendum che invece la Lega ha voluto indire (con la complicità del M5S) in Veneto e Lombardia per ottenere la stessa cosa: all’epoca vennero buttati 64 milioni di euro. Cinquanta milioni di euro, di cui solo 22 per l’acquisto dei 24mila tablet per il voto, in Lombardia. Il resto in Veneto. A questi qui, che hanno sprecato soldi per ottenere quello che si poteva ottenere con una raccomandata, adesso vogliono dare maggiore potere di spesa. Ma vi sembra normale?

Leggi sull’argomento: Autonomia, la secessione dei ricchi è servita

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