Fact checking
L’appello di Luigi Di Maio al Partito Democratico
Alessandro D'Amato 07/04/2018
In un’intervista a Repubblica il candidato premier del M5S apre di nuovo a un confronto sui temi con il PD. Considerando però irrinunciabile la sua leadership. Mentre nel Partito Democratico c’è chi gli chiede un passo indietro per cominciare a trattare
Luigi Di Maio rilascia oggi un’intervista a Repubblica per chiedere al Partito Democratico di formare un governo e sotterrare l’ascia di guerra. Nel colloquio con Annalisa Cuzzocrea il leader del MoVimento 5 Stelle affronta (si fa per dire) tutte le contraddizioni che si porta dietro l’apertura al partito che ha dipinto per anni come il male assoluto ma non sembra avere intenzione di transigere su alcuni punti fermi come la sua leadership a Palazzo Chigi.
L’appello di Luigi Di Maio al Partito Democratico
Di Maio prima di tutto affronta il problema dei due forni, ovvero l’apertura contemporanea alla Lega e al Partito Democratico, sostenendo che il “contratto di governo” che propone avrebbe punti diversi a seconda dell’alleato. Poi fa un appello al senso di responsabilità del partito:
«Io non sto rinnegando le nostre idee né le critiche che in più momenti abbiamo espresso anche aspramente nei confronti del Pd, e che anche il Pd non ci ha risparmiato. Credo però che ora il senso di responsabilità nei confronti del Paese ci obblighi tutti, nessuno escluso, a sotterrare l’ascia di guerra. A noi viene chiesto l’onere di dare un governo al Paese, ma tutti hanno il dovere di contribuire a risolvere i problemi della gente e di mostrare senso di responsabilità».
Immagini che Martina si sieda al tavolo con lei per discutere di un governo e le chieda di confermare Jobs Act e Buona scuola: come risponderebbe?
«Che se rimaniamo ognuno sulle proprie posizioni non si va da nessuna parte. Renzi stesso ha ammesso che la buona scuola non ha funzionato del tutto e doveva essere migliorata. Io credo che ci potranno essere molte più convergenze di quel che si crede».
Di Maio spiega anche quale differenza c’è (ci sarebbe?) tra il contratto che lui propone e le alleanze: «Le alleanze per anni sono state un mettersi insieme per autoconservarsi e autotutelarsi. Stiamo proponendo invece di mettere al centro solo ed esclusivamente l’interesse dei cittadini. II contratto è una garanzia in questo senso: dentro ci mettiamo le cose da fare per le persone fuori dai palazzi, e non quelle dentro i palazzi. E quelle cose facciamo».
Il contratto di Di Maio
Poi Di Maio spiega cosa ritiene irrinunciabile nel contratto che vuole proporre alle forze politiche:
«Mi interessa mettere al centro le risposte più urgenti alle grandi emergenze del Paese, le stesse che ho ascoltato mille volte anche durante il lungo tour che ho fatto in campagna elettorale: lotta alla povertà e alla corruzione, il lavoro, le pensioni, un fisco più leggero e una pubblica amministrazione che agevola e non ostacolai cittadini e le imprese. E poi sostegno alle famiglie e naturalmente lotta agli sprechi e ai privilegi della politica».
II reddito di cittadinanza è diventato più genericamente “misure contro la povertà”. Avete rinunciato?
«Il reddito di cittadinanza tiene insieme strumenti perla lotta alla povertà, ma anche perla lotta alla disoccupazione e per rimettere in moto il lavoro, partendo dalla riforma dei centri per l’impiego».
Poi il candidato premier del M5S dice che Salvini, scegliendo Berlusconi, si sta condannando all’irrilevanza e risponde alla domanda più importante, ovvero quella del suo passo indietro:
Lei dice di sentirsi legittimato da 11 milioni di elettori e di aver diritto alla premiership, ma non ha i numeri in Parlamento. II Quirinale ha detto chiaramente che non ci sono vincitori.
«In Germania la Merkel governa con il 32%. In Francia Macron è il presidente con il 24% al primo turno. Insomma è evidente che in Italia si sono inventati una legge elettorale che doveva metterci in difficoltà. Ma resta un fatto: siamo la prima forza politica e quasi doppiamo la seconda. Cioè, gli elettori hanno dato un segnale fortissimo. Uno tsunami, avremmo detto qualche anno fa. Questo urlo di cambiamento va assolutamente ascoltato».Se l’unica strada per andare a un governo fosse un suo passo indietro?
«Questo Paese ha avuto tantissimi presidenti del Consiglio che hanno preso zero voti dagli italiani. Ora c’è un candidato premier che ne prende 11 milionie la prima cosa che si chiede è che si faccia da parte?».
Il passo indietro di Di Maio?
Il punto è importante perché alcuni retroscena sia su Repubblica che sulla Stampa sostengono che la condizione irrinunciabile per far partire la trattativa in casa DEM sia proprio la rinuncia alla leadership da parte dello stesso Di Maio. Una carta che i renziani si stanno giocando attualmente proprio per pesare le possibili reazioni della minoranza, che ieri con Andrea Orlando è tornata a rispondere a Renzi dopo la riunione di corrente che ha ufficialmente chiuso ad ogni possibilità di collaborazione in vista del Quirinale.
Intanto, per «far vedere che facciamo sul serio», il M5S è pronto a concedere la presidenza della commissione speciale della Camera (che si occuperà dei decreti del governo attuativi ancora in sospeso), martedì, al dem Francesco Boccia, il primo a chiedere un’alleanza esplicita con i 5 Stelle. Non è escluso che il passo indietro, finora soltanto teorico, di Di Maio sia lo scalpo che la minoranza del PD attende per aprire ufficialmente alla resa dei conti con i renziani, che però rimangono larga maggioranza nel partito e tra i simpatizzanti: un governo nascerebbe così con numeri molto risicati e sarebbe pronto a cadere al primo agguato parlamentare. Un rischio di cui i 5 Stelle oggi non sembrano tenere conto. Così come la minoranza non sembra essersi accorta dell’ostilità diffusa all’idea di un accordo con il M5S.