Analogie e differenze fra la peste di Boccaccio e Manzoni e il Coronavirus

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2020-03-02

La descrizione di epidemie si presta come luogo dove ambientare opere di letteratura. In quellaitaliana, due sono le opere più famose che parlano di peste: il Decameron di Boccaccio e i Promessi Sposi di Manzoni. Ma Boccaccio visse effettivamente la peste nera mentre Manzoni la studiò dai documenti dell’epoca e adesso,nell’epoca del Coronavirus,questa differenza è …

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La descrizione di epidemie si presta come luogo dove ambientare opere di letteratura. In quellaitaliana, due sono le opere più famose che parlano di peste: il Decameron di Boccaccio e i Promessi Sposi di Manzoni. Ma Boccaccio visse effettivamente la peste nera mentre Manzoni la studiò dai documenti dell’epoca e adesso,nell’epoca del Coronavirus,questa differenza è palese. Entrambi fanno intuire l’assoluta incapacità dell’uomo (e di conseguenza dei governanti) di affrontare simili emergenze. Per loro l’epidemia è come un terremoto, la grandine: una forza della Natura contro cui l’Uomo non può nulla. L’Uomo moderno continua a non poter far molto, ma adesso capisce il fenomeno, può contrastarlo, spera di poterlo debellare in un prossimo futuro.

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Manzoni descrive benissimo la diffusione di notizie false. Emblemi sono gli untori che spargono la peste e Don Ferrante convinto di morire non per un contagio, ma per una malevole congiuntura astrale. Boccaccio non ne parla anche perché descrive la società “up” della sua epoca. Ragionevolmente “fake news” simili circolavano nel popolino, ma le persone “colte” dell’epoca sicuramente non ci credevano e ritenevano sconveniente parlarne. Nella società moderna invece le fake news sono diventate uno strumento di controllo di massa. Idee strampalate e non scientifiche sono messe in circolo. Perfino la scienza è usata come strumento di distrazione di massa. I modelli della diffusione delle epidemie sono stati fatti e testati più di 50 anni fa. Se uno va sul sito della John Hopkins University può vedere come la Matematica ci dice che questa epidemia ormai sia inarrestabile. Invece in TV appaiono persone che con strampalati modelli complessi di simulazioni numeriche, ci dicono quello che vorremmo sentirci dire (ma che purtroppo non è assolutamente vero): l’epidemia è sotto controllo, non ci sono casi nuovi, sarà debellata in poche settimane (mentre ci vorranno almeno mesi).

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Boccaccio ci fa vedere che la possibilità di sfuggire alla peste è riservata solo ai giovani di buona famiglia. Gli altri, per campare, devono andare a lavorare (peste o non peste). Qui la società moderna differisce. La Quarantena è riservata agli stati ricchi che si possono permettere i violenti contraccolpi economici. Gli altri subiscono l’epidemia come 700 anni fa era subita la peste dal popolino: muti e rassegnati. Essendo poi la democrazia un optional degli stati più ricchi, quelli più poveri hanno il “benefit” che le notizie non trapelano all’esterno. Ad esempio, è impossibile che essendosi diffusa l’epidemia in Iran, non sia arrivata anche in Iraq o Siria (dove è fortissima la presenza degli iraniani) e non si diffonda, di conseguenza, nei campi profughi approfittando delle precarie condizioni di igiene sicuramente presenti là. Altra differenza fra tempi antichi e tempi moderni, è che la società di Boccaccio cercava di salvare i giovani dal contagio. La società moderna invece privilegia gli anziani. Infatti percependo una pensione senza lavorare, avendo i riders che gli portano la spesa fino a casa e grazie agli abbonamenti TV a Sky, possono reggere quarantene lunghe ad libitum. I giovani invece devono lavorare e quindi rischiare il contagio.

Altra cosa puntualizzata bene da Boccaccio è che quando si è di fronte alla possibilità di morire, si è sempre più attaccati alla vita, soprattutto agli aspetti più materiali. La preghiera esisterà anche in questi momenti, ma, per esorcizzare la morte, uno pensa al sesso, al denaro, alle belle mangiate. Esattamente quello che fanno i giovani fiorentini quando raccontano le loro novelle. Quando al Liceo studiavo il Decameron pensavo a Boccaccio come ad un maniaco sessuale. Hai la peste tutta intorno a te e ti metti a descrivere la Badessa, che dopo essere andata a letto con il prete, nel buio si mette in testa le mutande del parroco invece che il velo? Adesso invece capisco che Boccaccio aveva ragione. Dopo una giornata a sentire numeri di contagiati, di persone intubate etc etc, hai bisogno di qualcosa di forte che ti faccia vincere il senso di frustrazione e d’impotenza . Non potendo ubriacarti tutte le sere, una sana visione di culi e tette via internet, rappresenta una alternativa efficace, senza effetti collaterali. Gratuita e rapida. Esattamente come le novelle più spinte boccaccesche per i giovani autoreclusisi per evitare la peste.
Infine Boccaccio e Manzoni insistono sulla funzione catartica della peste. Una società vecchia va via, una società nuova emerge. Manzoni fa più un discorso religioso, Boccaccio è molto più implicito ma altrettanto rivoluzionario. Il futuro della Chiesa non è il prete che confessa Ser Ciappelletto ma Frate Cipolla. L’homo novus avrà il diritto e il dovere di cambiare la società. Non più servo della gleba, ma mercante, Non più Medioevo ma Rinascimento. Attualmente invece sembra che ci sia una Santa Alleanza (Stato, Chiesa, Informazione) a difendere il mondo vecchio. Certo la gente sta smettendo di andare a votare, sta smettendo di professare la fede dei propri padri, sta sempre meno leggendo i giornali, ma l’homo novus (o più in generale il nuovo) non sta apparendo all’orizzonte. Niente che possa catalizzare lo scontento generalizzato in una direzione di rinnovamento. Non si vede all’orizzonte né un San Francesco, né un Dante, né un Giotto, né un Boccaccio, né un Brunelleschi, né un Lorenzo Magnifico, né un Leonardo da Vinci, né un Galileo. Si vedono solo vecchi e mediocri personaggi che continuano a raccontare, come un disco rotto, storie a cui nessuno (neanche loro stessi) crede più.

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