«Senza reazione dei cittadini il presidente non può salvare l’Italia»

di Maurizio Stefanini

Pubblicato il 2018-11-15

“Cosa può fare un presidente della Repubblica di fronte a una maggioranza che voglia imporre a tutti i costi leggi gravemente lesive della Costituzione? Può provare a fare tante cose, ma alla fine corre il rischio di trovarsi come Cristo in croce”. Michele Ainis, uno dei più profondi conoscitori della Costituzione italiana, ne parla a Nextquotidiano

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“Cosa può fare un presidente della Repubblica di fronte a una maggioranza che voglia imporre a tutti i costi leggi gravemente lesive della Costituzione? Può provare a fare tante cose, ma alla fine corre il rischio di trovarsi come Cristo in croce”. Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico a Roma 3, componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, saggista e anche romanziere pluripremiato, Michele Ainis è uno dei più profondi conoscitori della Costituzione italiana. Di fronte all’ipotesi estrema di uno scontro tra un capo dello Stato e una maggioranza eversiva, il suo giudizio è però piuttosto sconsolato. “Non credo che il Presidente potrebbe invocare un intervento delle Forze Armate: sarebbe un golpe, che risponderebbe a un crimine con un altro crimine. Potrebbe invece rifiutare di promulgare una legge anche dopo una seconda votazione del Parlamento, se vi individua profili tali da configurarvi un Attentato alla Costituzione. Però a quel punto la maggioranza parlamentare potrebbe accusarlo di Attentato alla Costituzione proprio per questo rifiuto. Insomma, come fa fa male. Alla fine, il massimo che potrebbe fare sarebbe di dimettersi, per denunciare il rischio e invitare i cittadini a mobilitarsi. Ma se i cittadini non rispondono, non è che può salvare la democrazia da solo!”.

Vediamo allora di spiegare il problema in dettaglio. Immaginiamo che governo o maggioranza parlamentare compiano una grave violazione della Costituzione. Ad esempio, violino il vincolo di bilancio stabilito nell’articolo 81. O facciano uscire l’Italia dall’Unione Europea. O approvino una legge gravemente lesiva dei diritti civili. Cosa potrebbe fare il presidente della Repubblica per impedirlo?
I poteri del presidente della Repubblica sono messi nero su bianco nella Costituzione. Quindi se viene approvata dalla maggioranza parlamentare che regge il governo una legge che ha dei profili evidenti di incostituzionalità o anche di inopportunità costituzionale, il presidente può rifiutarsi di promulgare quella legge, rinviandola alle camere. Se c’è invece un atteggiamento generale, un indirizzo politico generale che mette a rischio alcuni beni costituzionali, il presidente può inviare un messaggio alle Camere. Dopo di che c’è qualcosa che non è scritto ma traspare, ed è codificato dalla prassi di tutti i presidenti della Repubblica. È una attività che non si traduce in atti formali ma in interventi orali, non necessariamente pubblici, e che viene definita “moral suasion”. Poi il presidente oltre al potere successivo di arresto dei provvedimenti ha anche un potere preventivo. Ad esempio autorizza la presentazione dei disegni di legge alle camere, controfirma i decreti. Insomma, il presidente può suonare un pianoforte con molti tasti.

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Ma non può suonare una tromba per chiamare in appello le Forze Armate a tutelare la Costituzione? Facciamo appunto il caso estremo. Un presidente rimanda una legge con chiari profili di incostituzionalità o di opportunità costituzionale alle Camere, e queste la votano di nuovo. Il presidente è anche presidente del Consiglio Supremo di Difesa, oltre che comandante delle Forze Armate. Non può chiedere alle Forze Armate di intervenire per tutelare una Costituzione in grave pericolo?
No, no. Direi proprio di no. Sarebbe un rimedio illegittimo per reagire a una situazione illegittima. Così commettiamo due delitti anziché uno. Il comando delle Forze Armate, poi, ha a che fare con la difesa esterna del Paese: non con quella interna! Cosa facciamo, un golpe? Un colpo di Stato per salvare lo Stato? Quello direi di no. Se però ci vogliamo inoltrare nella fantapolitica o nelle fantaistituzioni, un presidente della Repubblica a un certo punto potrebbe denunciare uno stato di cose insostenibile dimettendosi, e attirando all’attenzione dell’opinione pubblica un problema istituzionale grave. La Costituzione dice che se le Camere approvano di nuovo una legge rimandata indietro dal Presidente a quel punto il Presidente deve promulgarla per forza, ma nei manuali si trova una ipotesi di scuola. Sopponiamo, come dice lei, una legge che contenga un attentato gravissimo ai valori costituzionali. Qualcosa tipo: “tutti i giornalisti che telefonano a Michele Ainis nel pomeriggio per chiedergli una intervista devono essere fucilati”. Si viola il divieto della pena di morte. Si viola la libertà di stampa. Si viola il diritto all’opposizione politica. O immaginiamo una legge gravemente lesiva del principio di uguaglianza tra gli uomini senza distinzione di razza. Qualcosa tipo: “tutti coloro che hanno la pelle gialla verranno uccisi”; “tutti coloro che hanno la pelle nera verranno passati per le armi”.

Neanche allora potrebbe chiamare il comandante delle Forze Armate per ordinargli: “arresta immediatamente chi ha proposto questa legge”?
No. Ma siccome il presidente della Repubblica è irresponsabile salvo che quando commetta un attentato alla Costituzione o un alto tradimento, allora se lui promulga una legge del genere sarebbe questo un Attentato alla Costituzione. Domani un Parlamento con maggioranza diversa potrebbe rimproverargli: come ti sei azzardato a promulgare una legge del genere? Sei corresponsabile, quindi ti processiamo. Ti mandiamo a giudizio davanti alla corte Costituzionale per Attentato alla Costituzione. Ora, siccome nessuno può essere costretto a commettere dei reati, e in questa ipotesi il presidente si renderebbe corresponsabile di un reato, allora la dottrina afferma che potrebbe rifiutarsi di promulgare quella legge anche una seconda volta. Però a quel punto potrebbe essere invece il Parlamento che ha riapprovato quella legge a mandarlo di fronte alla Corte Costituzionale per Attentato alla Costituzione. Insomma, se firma quella legge compie Attentato alla Costituzione per il suo contenuto; ma se non la firma compie Attentato alla Costituzione perché in teoria la seconda volta dovrebbe promulgare.

Ma allora che soluzione ci potrebbe essere nel caso di uno scontro di questo tipo?
Nessuna. Quando Hitler vinse le elezioni, divenbe dittatore in modo perfettamente democratico. Fu un voto del popolo a mandare a morte Cristo e a salvare Barabba. Per questo esistono le Corti Costituzionali: però i rimedi giuridici tengono in situazioni di normalità costituzionale, cioè in tempo di pace. In tempo di guerra, e anche di una guerra come stiamo immaginando noi, di guerra ai diritti, di guerra alla democrazia, di guerra interna: o c’è una reazione dei cittadini; o non ha molto senso immaginare un salvatore del mondo che possa liberare l’Italia.

Ma lei ritiene che effettivamente in Italia ci sia una situazione di emergenza democratica grave, in questo momento? O stiamo semplicemente caricando un po’ di toni?
Un quarto di secolo fa Berlusconi vinse le elezioni, e Previti iniziò a dire che non avrebbero fatto prigionieri. Ne seguì il cosiddetto “Editto Bulgaro”, e vari giornalisti furono cacciati dalla Rai. Qualche anno dopo ci furono la legge Bossi-Fini e altre leggi, che sono state poi fatte a pezzi dalla Corte Costituzionale. Voglio dire: è già successo quel che sta succedendo adesso. Volendo fare una analisi la più benevola e la meno drammatizzante possibile, potremmo dire che c’è un eccesso di difesa. C’è effettivamente nella maggior parte dei media un atteggiamento molto critico verso il governo. C’è effettivamente un eccesso di reazione da parte delle forze che sostengono questo governo. Però se devo giudicare in base agli atti e alle leggi approvate fin qui, non in base a quelle annunciate, alle parole, ai tweet, a Facebook, direi che qui si è parlato molto e si è fatto poco.

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Un dato di carattere nazionale?
Siamo notoriamente un popolo di chiacchieroni.

Gaetano Salvemini: “l’Italia è un Paese dove non si fa mai niente senza fare un gran baccano, e spesso si fa un gran baccano per non fare niente”.
Bella questa. La lascio ripetere a lei.

La disse Salvemini nelle sue Lezioni di Harvard. Per spiegare agli americani che cosa era stato il biennio rosso in Italia…
Battute a parte, credo però che ci voglia ancora un po’ di tempo per misurare questa febbre, e capire se è solo una febbre passeggera o se invece non siamo di fronte a una malattia grave. Certamente c’è stato un punto di forte discontinuità politica in queste elezioni. Se le repubbliche si contano in base alle istituzioni e al sistema politico, nella prima repubblica c’era una legge proporzionale con molti partiti. Nella seconda repubblica c’era un sistema bipolare in cui ci alternavano destra e sinistra al governo. Di questa terza repubblica dobbiamo probabilmente ancora capirne i contorni.

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