«Se fossi Mattarella invierei un messaggio alle Camere per mettere in guardia da Casalino»

di Maurizio Stefanini

Pubblicato il 2018-11-14

Ammettiamo che il governo in carica violi l’articolo 81. O che violi qualche altro articolo della Costituzione. Cosa potrebbe fare il presidente per impedirlo? Luigi Compagna, costituzionalista e storico delle istituzioni, ne parla a Nextquotidiano

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Dunque, ammettiamo che il governo in carica violi l’articolo 81. O che violi qualche altro articolo della Costituzione. Cosa potrebbe fare il presidente per impedirlo? Già senatore per quattro legislature, già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche alla Luiss, figlio del grande meridionalista Francesco Compagna, Luigi Compagna prima ancora che da costituzionalista risponde da storico delle istituzioni.
Lunga e tormentata questione. Bisogna partire da lontano, perché i poteri del presidente della Repubblica in Italia sono materia di antica e travagliata discussione. Alla Costituente c’erano i parlamentaristi, ma anche i presidenzialisti. Questi ultimi con poche voci, ma qualificate: Piero Calamandrei; Leo Valiani. Poi negli anni ’50 Randolfo Pacciardi, che però con tutta la sua simpatia per la democrazia americana non guardava al presidenzialismo statunitense, ma al semipresidenzialismo francese della Quinta repubblica. E qui bisogna ricordare allora il gollista per eccellenza: il ministro degli Interni Michel Debré. Fu Debré il vero padre delle istituzioni della Quinta Repubblica, e proprio per elaborarle si mise a studiare le varie costituzioni d’Europa. Per questo venne anche in Italia, dove si incontrò con molti studiosi italiani: politologi e costituzionalisti. A Firenze,. In particolare, si confrontò con Maranini. Proprio confrontandosi con questi accademici. Debré fece loro notare: “scusate, voi mi dite che in Italia il presidente non ha poteri, ma io leggendo la vostra Costituzione vedo il contrario. È vero, non è eletto direttamente del popolo. Ma di poteri ne ha parecchi”. Ovviamente poi questi poteri sono stati esercitati da persone che avevano personalità diverse, che erano stati eletti da personalità diverse, e che agivano in momenti diversi. Ma qual è la condizione particolare della storia italiana nella quale ci troviamo oggi? Facciamo un nome e cognome: Jean-Jacques Rousseau. Che non è la traduzione di Davide Casaleggio: è molto peggio. Il pensiero politico di Rousseau porta al totalitarismo. E già il fatto che al ministro per i rapporti con il parlamento abbiano aggiunto anche la competenza per la democrazia diretta è inquietante.

sergio mattarella

 

Peraltro attraverso Bolívar il pensiero di Rousseau è anche alla base del modello costituzionale chavista. I cinque poteri invece dei tre classici, il potere morale, l’assemblea monocamerale, il referendum revocatorio: tutta roba appunto da regime giacobino. È come se col collasso del modello sovietico la sinistra radicale sia tornata indietro, da Stalin a Robespierre. Chávez come Grillo…
Sì. Il circuito che va da Rousseau a Robespierre è un circuito tossico. Ma la decisione di dare soldi pubblici a Rousseau, cioè a una impresa privata che come la Casaleggio Associati ha come unico cliente la Camera e il Senato, durante la scorsa legislatura l’hanno presa Grasso e la Boldrini. Ovvio che in una situazione del genere il presidente diventa un garante della Costituzione.

E Mattarella riesce a farlo?
Ci sta provando. Certo, io ho molti dubbi su come si sia arrivati al governo Conte, nato da una non conoscenza del medesimo da parte di Mattarella. È un incarico che nasce in qualche modo sulla scia del caso Savona, e in cui a mio giudizio il presidente della Repubblica fu un po’ debordante, perché non aveva ancora scelto il presidente del Consiglio. Si legò a una bega abbastanza lobbystica dei Giavazzi, Alesina e Draghi, di astio personale verso Savona. Dopo di che Mattarella si è messo a fare esternazioni molto opportune e molto corrette, che personalmente condivido. Però assistiamo quotidianamente a un suo tentativo per razionalizzare l’esistente. E so che il presidente della Repubblica ha finora consentito l’utilizzo dell’Europa come capro espiatorio. Noi possiamo avere le idee più diverse su Juncker, e le mie non sono entusiasmanti. Ma da qui a definirlo ubriaco, ubriacone eccetera, con l’insistenza e con la continuità dei vicepresidenti del consiglio in carica, ne passa. Vicepresidenti ma forse dovrei parlare al singolare: direi soprattutto di Salvini. Di Maio è stato finora almeno con Juncker meno lessicalmente sguaiato.

Direi che ha però recuperato abbondantemente a spese dei giornalisti…
Sì: è una cosa offende, e che spero abbia offeso anche Mattarella. Che un uomo politico, anche vicepresidente del Consiglio, abbia in un episodio, in una vicenda un alterco con questo o con quel giornalista – c’è. Ma questo sistematico ricorso ai giornalisti come a una corporazione contro cui fare uso della propria teoria e prassi del capro espiatorio, lo trovo ripugnante. E teniamo conto che da veccho einaudiano sarei pure a favore dell’abolizione dell’albo. Ma il circuito di tensione che si è determinato tra politica e giornalismo è ormai eccessivo. Rischia di diventare insopportabile per il nostro sistema costituzionale. Qual è lo strumento degli strumenti di intervento del presidente della Repubblica? Il messaggio alle Camere! Francamente, se fossi il presidente della Repubblica avrei già fatto un messaggio alle Camere chiedendo ad esempio di stare in guardia dal signor Casalino. Ma metterei pure in guardia da un’epoca in cui la politica sembra essere stata sostituita dalla comunicazione. È tutto un tweet-tweet- tweet. È tutto annuncio. Adesso il primo ramo del Parlamento ha approvato un decreto sicurezza e immigrazione di cui non si capisce niente. Mi farebbe piacere che da parte del presidente della repubblica vi fosse attraverso strumenti corretti, messaggi alle camere, quello che lui crede, un richiamo. La comunicazione non può uccidere la politica. Se la comunicazione uccide la politica è morta quella Costituzione di cui lui è il massimo garante”.

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Torno allora ai poteri del Presidente. Mandare messaggi alle Camere. Nominare il presidente del Consiglio e i ministri. Sciogliere le Camere…
Posso aggiungere una citazione da Einaudi: il potere dei poteri è il potere silenzioso. Einaudi lo chiamava il magistero di influenza e di discrezione. Non credo che il capo dello Stato non si sia accorto che il nostro sistema politico stia diventando sempre più extraparlamentare, con forti tratti di antiparlamentarismo. Conosco la sensibilità di Mattarella, e so che di ciò non può non essersene accorto. Attendo di sapere quali iniziative prenderà quando e come lo riterrà opportune.

E torniamo allora al caso estremo. Ammettiamo che la maggioranza parlamentare o questo governo facciano un colpo di mano del tipo far uscire l’Italia dall’Unione Europea, o violare marcatamente l’articolo 81, o approvare leggi razziali. Il presidente della repubblica avrebbe allora il diritto di convocare le Forze Armate per far arrestare i golpisti?
Il capo dello Stato può innanzitutto, di fronte a leggi che gli ripugnano per ragioni di costituzionalità, non firmarle. Anzi, io mi aspettavo che Mattarella facesse così ai tempi della “manina”. Dopo di che, il potere di far arrestare qualcuno secondo me ce lo ha. Lo rilevò appunto Debré: un potere importante che è collegato con la Presidenza del Consiglio Supremo di Difesa, e a cui è collegata anche una sovrintendenza alla nostra politica estera.

Dunque, come presidente del Consiglio Supremo di difesa in casi estremi il presidente avrebbe il potere di convocare le forze armate per tutelare la Costituzione
Sì. Non lo può fare d’amblè, secondo me. Deve esserci una istruttoria politica e costituzionale prima. E non andrei tanto alla ricerca del caso, se no sembra effettivamente che uno voglia proprio utilizzare il proprio pieno di benzina costituzionale – diciamo così – per incidere sulla situazione politica. Ciò non è congruo. Ci sono però preoccupazioni per la situazione costituzionale del Paese che autorizzerebbe a reazioni di questo tipo. I tempi e i modi del rapporto di funzionamento parlamento-governo a me non sembrano tranquillizzanti. Ancora meno, poi, quando si fa la cosa ridicole di chiamare il ministro dei rapporti con il Parlamento ministro della democrazia diretta.

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