Fact checking
La guerra di ATAC
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2016-10-26
Sul cadavere putrefatto della municipalizzata dei trasporti romana si avventano Virginia Raggi, il Partito Democratico, Forza Italia e le Ferrovie dello Stato. Quasi nessuno ha idea di cosa fare, ma vogliono farlo tutto, subito, adesso e nel modo peggiore possibile
La guerra dell’ATAC è scoppiata. Con un post su Facebook la sindaca di Roma Virginia Raggi ha ufficializzato l’inizio delle ostilità in questa strana campagna in cui si vede da una parte il MoVimento 5 Stelle e dall’altra una strana alleanza che vede insieme il Partito Democratico, Forza Italia, il governo (e il ministero delle Infrastrutture) e le Ferrovie dello Stato. In palio c’è un’azienda disastrata e in stato di pre-fallimento e un business importante come i trasporti nella Capitale d’Italia.
La guerra dell’ATAC
Qual è il casus belli? Ufficialmente è l’ordine del giorno su ATAC approvato ieri in Senato con 181 sì, 49 no e nove astensioni. Nel documento, tra l’altro, si impegna il governo “a verificare, per quanto di competenza, la situazione economico-finanziaria dell’ATAC”. Inoltre il governo dovrà valutare “se sussistano le condizioni per porre in essere procedure idonee a sostenere il rilancio dell’azienda anche attraverso procedure straordinarie” e “la possibilità di collocare temporaneamente la partecipazione dell’ATAC all’interno di un organismo statale dotato delle necessarie competenze affidando contestualmente ad una struttura tecnica scelta ad hoc il compito del risanamento industriale e patrimoniale dell’azienda”. Presentato una settimana fa e poi non votato per la mancanza del numero legale oggi l’OdG firmato dai senatori Aracri (FI), Augello (Movimento Idea), Esposito e Filippi (Pd) in realtà di per sé si limita a fornire un mandato esplorativo al governo senza che sia presa alcuna decisione, impossibile ad oggi senza l’assenso del Comune. La Raggi risponde alzando i toni dello scontro:
Questa mozione della vergogna, che è un insulto a tutti romani, è stata presentata proprio da quei partitucoli che dopo aver spolpato per anni la nostra azienda, dopo averla sovraindebitata, dopo averla abbandonata, senza manutenzioni, senza servizi degni di tale nome, adesso vogliono chiuderla regalandola ai privati.
E lo fanno adesso perché vedono che i romani hanno dato fiducia ad un movimento che da quello scempio sta facendo rinascere un’azienda: 150 nuovi bus in arrivo, riordinare i conti, biglietti elettronici, corsie preferenziali e tanto altro per il rilancio.
I loro giochi sono finiti e allora, per evitare che qualcuno possa scoprire tutto il marcio, vogliono riprendersela ancora una volta.
E, soprattutto, mentre lo fanno scappano dalle loro responsabilità di governanti: avrebbero potuto dare un bel segnale con la riduzione degli stipendi e invece distolgono ancora una volta l’attenzione dalle loro responsabilità.
Ma stavolta non glielo permetteremo: se vogliono la guerra, la guerra avranno.
Il trasporto pubblico locale è un servizio essenziale, Atac è nostra.
Vergognatevi
Come è stato possibile tutto ciò? Prima di tutto, l’azienda ha un debito di oltre un miliardo di euro (era un miliardo e mezzo nel 2014), ha chiuso il 2015 con 80 milioni di euro di perdite d’esercizio (140 nel 2014). In più il decreto Madia sulle partecipate dopo tre anni di bilanci in perdita prevede che il socio (in questo caso il Campidoglio) vada a bussare al governo per aprire procedure di salvataggio pilotate, quindi al commissario. Ma deve essere il Comune a chiedere l’attivazione di questa procedura.
Il M5S non sa gestire ATAC
Cosa sta facendo il M5S per sventare l’ipotesi di commissariamento? La giunta ha approvato due settimane fa il piano di rientro del debito di Atac nei confronti di Roma Capitale che ammonta in totale a 429.551.538,28 euro. Il provvedimento consentirà alla municipalizzata dei trasporti anche di rinegoziare il prestito da 167 milioni di euro concesso dalle banche finanziatrici. Il piano di ammortamento presentato da Atac a Roma Capitale per il pagamento del debito prevedeva l’inizio dei pagamenti a partire da luglio 2017. Con la delibera passata in giunta, l’impegno viene differito a gennaio 2019. Questo consente ad Atac di aumentare, nel 2017 e 2018, la quota di capitale destinata alla restituzione dei 167 milioni di euro alle banche finanziatrici». In pratica: rispetto ai quasi 430 milioni di debito che Atac ha nei confronti di Roma Capitale, la giunta decide di congelare l’inizio dei pagamenti per due anni e in questo modo spera di convincere le banche che vi siano garanzie sufficienti perché le banche concedano una proroga per il rimborso del debito da parte di Ama. Tra tre anni poi scade il contratto di servizio con TPL Roma e l’azienda deve essere risanata per poter partecipare e vincere la nuova gara.
Ed è proprio tutto qui il problema. La gestione di Marco Rettighieri, voluto in sella alla società dal senatore del Partito Democratico Stefano Esposito, ex assessore ai trasporti della Giunta Marino, aveva cominciato a scoperchiare i tanti problemi aziendali e le curiose ruberie e frodi che hanno contrassegnato l’azienda in questi anni. In particolare molte sono state le denunce in procura riguardo concorsi, fornitori, strani boicottaggi e quanto di peggio è possibile trovare in una partecipata di un ente pubblico. Rettighieri ha però dato le dimissioni puntando il dito proprio sull’amministrazione comunale, che dopo un inizio di rapporto idilliaco – l’indimenticabile photo opportunity all’inaugurazione del tram 3 lo testimonia – ha cominciato a fargli la guerra. Con i blitz nelle rimesse ATAC che servivano a dare la colpa a fornitori e manager per i tanti guasti ai bus quando invece l’azienda accusava apertamente i dipendenti di sabotaggio, e poi con la vicenda di Federico Chiovelli, dipendente ATAC ma anche attivista grillino e cugino di un’assessora municipale M5S sollevato dagli incarichi della Roma-Viterbo da Rettighieri e poi rimesso al suo posto dopo l’addio del manager senza alcuna spiegazione da parte dell’assessora Linda Meleo, che mai ha ritenuto opportuno fornire qualche spiegazione all’opinione pubblica per il suo operato. A questa si può aggiungere la vicenda raccontata oggi dal Messaggero a proposito di Giovanni Battista Nicastro, appena nominato a capo della struttura Pianificazione Industriale di ATAC dall’amministratore unico scelto dai grillini, Manuel Fantasia. Nicastro era finito sotto procedimento disciplinare qualche tempo fa, per tre “incidenti sfiorati” sulla Roma-Viterbo: “ovvero episodi – segnalati anche alla procura – che risalivano a quando era a capo della divisione Metroferro di ATAC. La contestazione riguarda «mancate collisioni» (scontri frontali fra treni evitati all’ultimo) su cui il manager avrebbe deciso di non promuovere un’indagine interna. Avrebbe chiuso un occhio, secondo l’accusa,su episodi molto gravi. Ora è stato promosso”. Una strada per tamponare l’emorragia di liquidi ci sarebbe: il patrimonio immobiliare Atac vale 400 milioni di euro ma rende zero. Ma proprio la vendita presente nel piano industriale dell’azienda è stata nel frattempo sospesa dal M5S.
ATAC e le Ferrovie dello Stato
In tutto questo si innesta il prolungato interesse di Ferrovie dello Stato nei confronti di ATAC. Ribadito di recente con un bel giro di parole anche dall’amministratore delegato: “Il sistema integrato di mobilità che proponiamo funziona se tutti i pezzi funzionano”, ha spiegato Mazzoncini. “Se un pezzo funziona non ce ne vogliamo occupare ma solo integrarci. Atac, e non lo dico io, non funziona. Per questo confermiamo la nostra disponibilità a collaborare con l’azienda”, la spiegazione. “Come possiamo offrire ai romani una proposta intermodale se nel primo e ultimo pezzo di viaggio non usufruiscono di un servizio adeguato? I ‘nodi’ che non vanno provocano un danno enorme allo sviluppo di un sistema integrato”. Dietro questo giro di parole c’è la volontà di fare quanto fatto da FS anche a Firenze, e per farlo le Ferrovie si sono mosse prima nei confronti della sindaca Raggi, scrivendo una lettera che non ha ricevuto risposta, e poi interessando del caso anche il ministro dei Trasporti Graziano Delrio.
Senza alcun risultato. Anzi, il MoVimento 5 Stelle ha ricominciato a ripetere la litanìa della “privatizzazione di ATAC” che aveva utilizzato anche in campagna elettorale contro Giachetti: bisogna sventarla, come se ci fosse la fila di aziende private pronte a comprare un’azienda con un miliardo di debiti e dieci miliardi di problemi. La propaganda serve a mantenere il rapporto con i sindacati – molti avevano dato indicazione di voto per il M5S e per Marcello De Vito, del resto – che si sono schierati subito contro il commissariamento, come ha specificato il segretario generale della FILT CGIL di Roma e del Lazio Eugenio Stanziale: “Sulla pelle dei lavoratori di Atac si giocano, ai fini di uno spicciolo consenso elettorale, infantili guerre strumentali che nulla hanno di politico, sicuramente non migliorano la qualita’ del servizio offerto all’utenza e ai cittadini e non giovano al bene dell’azienda, da mesi ormai costretta in uno stato di inerzia che se dovesse continuare, al di là delle belle parole, produrrebbe danni ancora peggiori. La condizione di straordinaria difficoltà in cui versano Atac e il trasporto pubblico locale a Roma chiede azioni immediate e non più procrastinabili, evitando il giochetto dello scaricabarile. Essendo contrari al commissariamento, riteniamo utile che, per evitare conseguenze ancora più drammatiche- anche in seguito al surreale dibattito tenutosi in Senato nelle sedute del 18 e 25 ottobre – il Governo intervenga nel suo ruolo istituzionale solo in accordo con Roma Capitale, Area Metropolitana e Regione Lazio e che una volta condiviso il percorso si operi tempestivamente per garantire la tutela dell’occupazione e della qualità del servizio e consentire ad Atac, nella sua unicità aziendale, di essere risanata in modo da potersi presentare alla gara del 2019 in condizioni realmente concorrenziali”. D’altro canto la stessa mossa dell’ordine del giorno in Senato pare molto poco comprensibile, visto che dà modo all’M5S di fare la vittima senza però impegnare in alcun modo il governo a fare alcunché. E l’eventuale commissariamento toglierebbe le castagne dal fuoco proprio ai grillini. Insomma, da una parte chi non sa gestire l’azienda. Dall’altra chi non è in grado di comprendere le implicazioni politiche di un commissariamento che somiglierebbe a un esproprio di qualcosa che “i cittadini (romani) hanno pagato con le loro tasse”, come ha giustamente detto la Raggi. In mezzo chi, come FS, vuole gestirla facendo tabula rasa del passato, ma è visto con sospetto dal Comune e dopo gli ultimi eventi lo sarà ancora di più. Sbagliare è umano, ma per incasinare davvero tutto ci vuole la politica.