Lo spot della Chicco è fascista?

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-07-12

C’è chi ha accusato l’azienda e chi ha fatto notare che nessuno può dire ad una donna quando e perché deve fare figli (spiegando che il problema è la precarietà). Sovranisti e nazionalisti invece si sono rizzati a difesa dell’azienda: finalmente figli italiani e non “famiglie mutanti” e immigrati pronti a sostituirci. Nella realtà delle cose la situazione è più complicata

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L’ultimo spot della Chicco ha fatto centro. L’azienda che produce abbigliamento e articoli per l’infanzia ha pubblicato un video dove invita gli italiani a fare più figli “per l’Italia“. La pubblicità imita volutamente il tono enfatico ed entusiasta dei commentatori sportivi esaltati da una grande vittoria della nostra Nazionale. Il problema è che quest’anno l’Italia del pallone non è andata in Russia e che quindi non ci sarà nessuna vittoria e nessun baby boom. Ma l’Italia, gli italiani e la Chicco hanno bisogno di bambini per prosperare e crescere in modo da riportare «l’Italia dove è giusto che stia».

Quelli che dicono che lo spot della Chicco è fascista

Moltissimi hanno visto la pubblicità e altrettanti hanno deciso di commentarla. Non tutti i commenti sono entusiasti, ma si sa che l’importante è che la gente ne parli, così poi i giornali ne parleranno e scriveranno articoli sulle polemiche scatenate ad arte da uno spot che è stato evidentemente pensato per avere più di una chiave di lettura. C’è chi si ferma al messaggio più semplice: fare l’amore perché è bello e fare figli perché è bello. Ma è una chiave di lettura troppo facile.

Molte donne indignate hanno scritto alla Chicco su Facebook dicendo che la pubblicità è una mancanza di rispetto per chi non può avere figli. Oppure che se gli italiani non fanno figli non è perché sono pigri, svogliati o non fanno l’amore ma perché non ci sono le condizioni (di stabilità economica o lavorativa) per farlo. Tutte cose vere ma sulle quali la Chicco come azienda non può nulla. Polemiche già lette in occasione della campagna per la fertilità lanciata dalla Lorenzin. Nel 2018 sarebbe anche ora di capire che le donne non vogliono sentire dire da qualcun altro quando e come devono fare i figli, e soprattutto che devono farli “per il Paese”.

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via Twitter.com

C’è anche chi ha trovato l’invito a fare l’amore “dovunque e in ogni momento” volgare e diseducativo. I social media manager dell’azienda si sono dati un gran da fare per rispondere ai commenti per spiegare che «quello che vogliamo dire è: se desideri un figlio, fallo serenamente».

I sovranisti e l’ultradestra eccitati dalle nascite di italici pargoli

Ma la polemica sullo spot è diventata ben presto incandescente, con accuse di “fascismo” alla Chicco perché lo spot ricorda (a dire il vero molto alla lontana e con molta più autoironia) gli inviti alle donne dell’Italia fascista a fare più figli “per la Patria”. Non c’è dubbio però che il nostro sia un Paese che sta invecchiando molto rapidamente e che non ci siano abbastanza nuovi nati. La Chicco, che è un’azienda che vende prodotti per l’infanzia ha bisogno di bambini (e non le importa molto se sono italiani o no, l’importante è che comprino i prodotti). Diverso è il discorso per Artsana, la società che possiede la Chicco, la quale a sua volta possiede anche il marchio di preservativi Control.

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Ai gridolini degli indignati “di sinistra” fanno da contraltare gli italici applausi dei sovranisti. Gianni Alemanno è il più pacato e si limita a fare dell’ironia su chi definisce inaccettabile lo spot. Ma il livello di testosterone è già ai massimi. Sono i giorni in cui il presidente dell’Inps Boeri ha spiegato che l’Italia non avrà nei prossimi anni abbastanza nuovi italiani (“nativi”) per poter sostenere il sistema pensionistico e che quindi abbiamo bisogno di lavoratori immigrati regolari che paghino i contributi. Ma basta un appello a fare più figli per far dimenticare che il problema è qui e ora e non tra vent’anni quando – se va bene – i figli del baby boom della Chicco inizieranno a lavorare. Far nascere nuovi bambini oggi (o meglio, tra nove mesi) non esclude la necessità di far entrare lavoratori stranieri, anzi.

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Francesco Di Giuseppe – dirigente nazionale di Fratelli d’Italia e  Vice Presidente di Gioventù Nazionale – coglie la palla al balzo per ricordare a tutti che non si devono importare immigrati ma che bisogna favorire la natalità delle giovani coppie italiche.

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Altri invece gioiscono spiegando che è ora di dire basta alla «pubblicità globalista con famiglie mutanti e fenomeni da circo». E non si capisce qui se l’autore del tweet ce l’abbia solo con le pubblicità rivolte anche alle famiglie omosessuali oppure anche a quelle “etnicamente miste”. Nel secondo caso facciamo notare che nello spot ci sono anche bambini non proprio “etnicamente italiani”. Nel primo caso invece anche i figli delle coppie omosessuali sono bambini, italiani e quindi potenziali consumatori di prodotti Chicco.

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Ma per i sovranisti e nazionalisti da social le polemiche contro lo spot della Chicco «fanno cadere la maschera della sinistra che collabora al piano di sostituzione etnica». La Chicco però ha invitato tutti coloro che si trovano in Italia (e che quindi possono comprare i suoi prodotti) a fare figli. Quindi anche i figli degli immigrati possono contribuire a fare grande l’Italia, come è giusto che sia.

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E non poteva mancare l’appello a riempire le culle svuotando i centri d’accoglienza già avanzato da CasaPound che vorrebbe dare 500 euro al mese ad ogni nuovo nato italiano (quindi non ai figli degli immigrati regolari).

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Giorgia Meloni coglie la palla al balzo per far sentire la sua vicinanza ad un’azienda italiana e alle famiglie italiane. Certo, è sconfortante che un politico, che potrebbe prendere le decisioni per aiutare davvero le giovani coppie a mettere su famiglia non possa far altro che condividere lo spot di un’azienda. Si dirà che lo Stato non ha abbastanza risorse per finanziare il sostegno alle famiglie.

Il dilemma dei sovranisti: chi controlla la Chicco?

Ma a ben guardare il titolare del  fondo di private equity Investindustrial che controlla il 60% di Artsana Andrea Bonomi che nonostante il nome è «solo cittadino americano e svizzero» (è nato a New York) avrebbe molto da spiegare allo Stato italiano. Il suo nome infatti figura tra quelli contenuti all’interno dei Paradise Papers. Con il suo fondo basato in Lussemburgo (uno dei paradisi fiscali europei) Bonomi controlla anche Snaitech un’azienda che «domina il settore del gioco d’azzardo legale, con superenalotto, scommesse ippiche, 40 mila new slot e la proprietà dell’ippodromo di San Siro». Ma grazie ai suoi trust lussemburghesi in Italia Bonomi non paga le tasse, ci fa solo profitti.

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Ecco quindi un dilemma per il sovranista: comprare Chicco per fare grande l’Italia (in fondo ci sono degli stabilimenti nel nostro Paese) o non comprare Chicco perché così si arricchisce un “turbocapitalista” che fa soldi su preservativi (usati per il controllo delle nascite!1) e gioco d’azzardo che ha i capitali in un paradiso fiscale?

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