Marco Travaglio e il chi se ne frega della collegialità sulla Diciotti

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-02-03

Il direttore del Fatto spiega ai grillini perché le loro obiezioni sul caso Salvini sono illogiche

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Marco Travaglio torna sul Fatto a schierarsi a favore nel voto che il Parlamento e la giunta per le autorizzazioni a procedere stanno per mettere in scena per salvare Salvini, come da programmi del MoVimento 5 Stelle e alla faccia della coerenza. Il direttore del Fatto replica nel merito alle tante uscite “equivoche” dei grillini di questi giorni:

L’idea sbagliata è che autorizzare il processo a Salvini significherebbe sconfessare una scelta politica firmata da lui, ma assunta o almeno condivisa da tutto il governo, confermare implicitamente che il vicepremier leghista ha commesso un sequestro di persona e consegnarlo a sicura condanna. Francesco Urraro, senatore pentastellato e membro della Giunta del Senato, spiega alla Stampa:“Dagli atti emerge chiaramente l’operato del ministro Salvini e la collegialità della scelta in seno al governo”.

E chi se ne frega: se ogni scelta assunta collegialmente da un governo fosse di per sé insindacabile dai giudici, lo sarebbero sempre tutte: se esiste un “Consiglio dei ministri”, la collegialità delle scelte è scontata. Infatti non è su questo punto che deve pronunciarsi il Senato.

Poi Travaglio risponde anche alle osservazioni di Giarrusso sulla presunta collegialità: il senatore grillino aveva detto di essere “vicino alle procure” ma anche che si era reso conto che nell’occasione sbagliavano (casualmente, non si conoscono posizioni di vicinanza alle procure di Giarrusso quando è nei guai uno del M5S o un suo alleato):

A Michele Giarrusso, capogruppo M5S in Giunta, La Verità attribuisce questa frase (mai smentita): “Se perfino io, dipinto come troppo vicino alle Procure, sono contrario a concedere questa autorizzazione, vuol dire che forse c’è una forzatura e che la linea sulla Diciotti è stata collegiale”. Ma qui “le Procure”non c’entrano nulla, tant’è che sia quella di Palermo sia quella di Catania avevano chiesto l’archiviazione, poi respinta dal Tribunale dei ministri.

Che ha preso una decisione opinabile e magari sbagliata, ma priva di “forzature”: i giudici, ravvisando possibili indizi di reato, hanno seguito la legge chiedendo al Parlamento di concedere o di respingere l’autorizzazione a procedere.E la “collegialità”della decisione, ancora una volta, non rileva: al massimo può indurre il premier e gli altri ministri ad autodenunciarsi al Tribunale per farsi processare e assolvere insieme a Salvini. Il che presuppone il via libera al processo.

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