To Pil or not to Pil?

di Luca Conforti

Pubblicato il 2014-09-10

La revisione del prodotto interno lordo con l’indotto economico delle attività criminali. E l’effetto pericoloso dello sguardo ai numeri senza contesto. Come ad esempio quelli sul lavoro sommerso

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Tanta ipocrisia e altrettanta ignoranza hanno accolto la revisione del Pil secondo i nuovi criteri europei (Sec 2010). La rivalutazione dell’indotto economico delle attività criminali ha generato indignazione e sorpresa. Le reazioni vanno da “siamo un paese di spacciatori e puttanieri e questo ci salverà”, alla richiesta di tornare ai vecchi conteggi per evitare che lo Stato sia incentivato a non contrastare i criminali per non perdere soldi. La prima è semplicemente stupida, visto che, pesando l’1% di 1400 miliardi, neanche quello criminale si può considerare un settore fiorente o in espansione. Ma la seconda è la più strampalata. Il Pil è una fotografia, o meglio è più simile al tentativo di descrivere a parole un film mentre lo si sta vedendo. Facilmente si indovina la trama, si ricordano molti dialoghi, ma milioni di particolari sfuggono. Il Pil non solo non misura la felicità, come disse Bob Kennedy, ma neanche la moralità. Chiedere di non considerare l’aspetto economico della criminalità è un po’ come dire che non bisogna più visitare le piramidi perché costruite sfruttando gli schiavi.
FOLLOW THE MONEY
La realtà è fatta anche di comportamenti illegali, nessuno si permette di contraddire Saviano quando afferma che solo se la si considera “un’industria” si può capire la criminalità organizzata di oggi, Falcone ne aveva fatto un metodo d’indagine. I giornalisti seguono l’antico motto “follow the money”, sarebbe curioso che l’Istat facesse il contrario.
Anche perché vita quotidiana e ricerche accademiche ci mostrano i moltissimi modi in cui il denaro e il “valore aggiunto” (quello che davvero dovrebbe misurare il Pil) si sommano e si annullano nell’interazione tra attività legali e illegali. Esempio ovvio sono il riciclaggio di denaro in attività legali, ma altrettanto peso hanno il patrimonio (case, barche, gioielli) che si accumula in mano ai criminali in un sistema paese, influenzando i prezzi di tutto quel mercato. Al contrario l’impossibilità di dichiarare certi acquisti, come la droga, drena valore dall’economia emersa per sparire chissà dove.Le stime odierne saranno lacunose e fuorvianti, ma sono un “proxy” indispensabile.

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Il calcolo del Pil che cambia sul Corriere

NON SPOSARE QUELLA COLF!

Quanto il Pil sia un pessimo strumento per giudicare situazioni specifiche basta ricordare che la sua misurazione produce risultati quasi comici. L’anziano che sposa la badante, il single che sposa la colf, fanno cadere il Pil perché tutta una serie di lavori dichiarati e tassati diventano gratuiti nel ménage familiare. Di contro se marito e moglie gestiscono una piccola attività, divorziano e interrompono ogni rapporto, l’azienda ridurrà i propri profitti perché dovrà pagare un collaboratore esterno per sostituire il coniuge fuoriscito. Di contro i funerali fanno crescere l’attività dei servizi, dal becchino al commercialista al notaio tutti hanno più lavoro. Insomma se il governo dovesse scegliere le proprie politiche in base al semplice apporto alla crescita dovrebbe scoraggiare i matrimoni e alzare il tasso di mortalità specie tra gli anziani Dopo questo piccolo circo delle assurdità è chiaro che non si può chiedere ad una variabile economica di dare indicazioni sulle condotte personali e collettive
SFRUTTATORI E SFRUTTATI

E in parte il Sec 10 ci dice che il cinismo è al potere, ma in un ambito forse inaspettato. L’Istat ci ha detto che il lavoro sommerso (vale a dire lavoratori senza contratto o sottoinquadrati) si è ridotto nella nuova configurazione del Pil, scendendo dal 16% all’11% dell’intera economia. Ma non c’è stato nel 2011 un ravvedimento generale degli impreditori, né una maggiro efficienza dei controllori pubblici. Quello che lo stato ha fatto è rendere il lavoro talmente flessibile e ampliato il numero dei contratti tanto che centinaia di lavori (stagionali, braccianti, lavoro domestico, interinale) sono diventati facili e convenienti da dichiarare e quindi sono “emersi”, con scarso giovamento per i lavoratori, che hanno probabilmente sperimentato una riduzione dei salari netti (disoccupazione che aumenta la concorrenza e nuovo peso contributivo) e nessun miglioramento sul fronte delle garanzie.

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