Economia
Cosa succede davvero al lavoro in Italia
Alessandro D'Amato 03/03/2015
L’incremento dell’occupazione vale soprattutto per i contratti part time e a termine. Con il Jobs Act le regole per le imprese cambieranno. E la valutazione della qualità dell’occupazione sarà importante come la quantità. In attesa della ripresa economica
Un paese di agricoltori part time. Nelle pieghe dei dati Istat su occupazione e disoccupazione si nascondono molti numeri interessanti, che ci consentono di vedere in quali condizioni è il mercato del lavoro italiano. Nel quarto trimestre 2014, dice l’ISTAT nel comunicato, alla sostenuta crescita tendenziale dei dipendenti (+0,9%, pari a 147.000 unità) si associa il lieve aumento degli indipendenti (+0,2%, pari a 9.000 unità). Spiega l’ISTAT:
Il numero di occupati in agricoltura aumenta rispetto a un anno prima (+7,1%, pari a 57.000 unità), sia tra i dipendenti sia tra gli indipendenti. Nell’industria in senso stretto, a ritmi meno sostenuti rispetto agli ultimi due trimestri, prosegue la crescita tendenziale dell’occupazione (+0,6%, pari a 28.000 unità), che coinvolge esclusivamente i dipendenti. Continua invece, per il diciottesimo trimestre e in modo accentuato, la flessione degli occupati nelle costruzioni (-7,0%, pari a -109.000 unità).
L’occupazione cresce con maggiore intensità nel terziario (+1,2%, pari a 180.000 unità su base annua), a sintesi dell’aumento dei dipendenti (+1,5%, pari a 175.000 unità) e della sostanziale stabilità degli indipendenti. L’incremento, concentrato nel Centro-nord, interessa principalmente gli occupati nei comparti di informazione e comunicazione, credito e assicurazioni, e quello dei servizi alle famiglie.
Nel quarto trimestre 2014, 176.000 occupati dichiarano di non avere lavorato nella settimana di riferimento dell’indagine, o di avere svolto un numero di ore inferiore alla norma, perché in Cassa integrazione guadagni (erano 272.000 nello stesso periodo del 2013).
Insomma, guardando ai dati e alla loro composizione, ci si rende conto che la crescita imponente è riservata all’agricoltura, mentre crolla l’occupazione nel mercato delle costruzioni di un numero più o meno pari. Anche nell’industria, il comparto che assomma tutte le attività economiche manifatturiere, di trasformazIone dei beni (meccaniche, chimiche, tessili, edili…) ed esclude agricoltura e commercio, il computo totale è in calo mentre cresce nell’industria in senso stretto, ovvero l’aggregato di tutti i settori industriali (meccanico, tessile, abbigliamento, chimico, alimentare…) esclusa l’edilizia.
CHE GENERE DI LAVORO
Poi c’è il tipo di lavoro. Ovvero, i dati Istat ci permettono di distinguere il carattere dell’occupazione e la tipologia di orario di lavoro. Spiega l’Istat:
Nel quarto trimestre 2014 il numero di lavoratori a tempo pieno, dopo dieci trimestri di calo e gli ultimi due di stabilità, segnala il primo modesto aumento (+0,2%, pari a +28.000 unità), che riguarda solo i dipendenti.
Ininterrotta dal 2010, la crescita degli occupati a tempo parziale continua nel quarto trimestre 2014 (+3,2%, pari a 128.000 unità nel raffronto tendenziale). L’aumento riguarda quasi esclusivamente il part time involontario, ossia i lavori accettati in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno. L’incidenza del part time involontario sul totale dei lavoratori a tempo parziale sale al 64,1% (era il 62,1% nel quarto trimestre del 2013).
Per il terzo trimestre consecutivo prosegue a ritmo intenso l’aumento dei dipendenti a termine (+6,6%, pari a 145.000 unità nel raffronto tendenziale). La crescita, che interessa soprattutto gli uomini ed è più forte nel Centro-Nord, è concentrata nell’industria e nel terziario (in particolare nei comparti di alberghi e ristorazione, di trasporti e magazzinaggio e in quello della sanità e assistenza sociale); l’incidenza dei dipendenti a termine sul totale degli occupati sale al 10,4%. Aumenta anche il numero di collaboratori (+8,9%, pari a 31.000 unità), soprattutto nei servizi.
Anche questa tabella ci permette di fare interessanti inferenze. Sono quasi dodici milioni i dipendenti a tempo pieno, ovvero più della metà degli occupati complessivi. Ma quello è anche il settore che ha i cali unitari maggiori (-53mila unità), compensato (o meglio: sostituito) da quelli a tempo parziale, che aumentano di 55mila, e da quelli a termine, che aumentano in totale per 145mila. Anche gli indiendenti a tempo pieno sono meno di 17mila, mentre gli indipendenti a tempo parziale e i collaboratori aumentano a ritmi molto più importanti (+26mila e +31mila). Insomma, gli aumenti dei posti di lavoro sono dovuti all’incremento dei contratti a termine e del part time involontario, ovvero quello a cui i lavoratori sono costretti a sottostare anche se vorrebbero lavorare molto di più. L’incremento del tempo determinato è perfettamente spiegabile con le condizioni economiche: le imprese dopo anni di crisi registrano incrementi della domanda e quindi hanno bisogno di manodopera, ma non vogliono scommetterci perché non sanno se durerà.
COSA ACCADRÀ CON IL JOBS ACT
Con il Jobs Act le regole per le assunzioni cambieranno, e definitivamente. Spiega oggi Luca Cifoni sul Messaggero:
Ma nelle prossime settimane gli andamenti produttivi che influenzano il mercato del lavoro si incroceranno con le scelte politiche fatte dal governo. In particolare quella di favorire il contratto a tempo indeterminato sia attraverso incentivi economici pesanti (la cancellazione dell’onere dei contributi previdenziali, entrata in vigore già a gennaio) siamediante nuove regole (la maggiore flessibilità in uscita ottenuta limitando il reintegro in caso di licenziamento, che scatta concretamente proprio in queste ore). Obiettivo dichiarato di questo nuovo quadro normativo è sì aumentare l’occupazione assoluta, ma anche e forse soprattutto far convergere nel “posto fisso”, pur se meno garantito come sostengono i critici del Jobs Act, una fetta consistente dell’attuale precariato.
Nella relazione tecnica alla legge di Stabilità, che introduce la decontribuzione triennale per i nuovi contratti del 2015, il ministero dell’Economia aveva stimato che circa 360 mila contratti a termine o comunque atipici potessero trasformarsi in nuovi impieghi a tutele crescenti. Dunque nelle prossime rilevazioni dall’Istat, la qualità dell’occupazione diventerà un elemento altrettanto importante della quantità. Anche se naturalmente il contesto economico internazionale ed italiano continuerà a condizionare gli andamenti del mercato del lavoro, come fa rilevare Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma. De Nardis nota che a gennaio il taglio dei contributi non ha prodotto risultati visibili e conclude che «per vedere effetti significativi sulle dinamiche del mercato del lavoro non bastano gli incentivi fiscali all’occupazione, occorre una ripresa dell’economia più robusta di quella attualmente scontata».
Anche qui, tutto dipenderà dalla ripresa (eventuale) e non dai contratti di lavoro. Un concetto valido in tutta Europa e in tutta Italia, perfino a Melfi.
Foto copertina da qui