L’investitura di Sanchez a premier della Spagna, spiegata

di Armando Michel Patacchiola

Pubblicato il 2019-07-20

Entro la prossima settimana la Spagna voterà la fiducia al premier ad interim Pedro Sanchez. Si tratta del primo passaggio per la formazione del Governo, il primo della tredicesima legislatura

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Entro la prossima settimana la Spagna voterà la fiducia al premier ad interim Pedro Sanchez. Si tratta del primo passaggio per la formazione del Governo, il primo della tredicesima legislatura. Dopo aver pronunciato il suo discorso, il leader del Partito Socialista Operaio Spagnolo (Psoe) avrà due occasioni, martedì 23 e giovedì 25 luglio, per ottenere la fiducia dalla Camera dei Deputati prima che si apra una nuova fase, di due mesi, in cui per forza di cose i partiti dovranno trovare un accordo per evitare che il Re Felipe VI, il capo dello Stato, sciolga i due rami delle Corti Generali, e indica nuove elezioni per una data molto vicina al 10 novembre. Se Sanchez fallisse nel trovare un accordo con gli altri partiti anche nei mesi successivi si correrebbe il rischio di andare alle urne per la quarta volta negli ultimi quattro anni, un numero molto alto per un Paese per anni considerato tra i più stabili nel panorama politico europeo. Per superare la prima votazione occorre la maggioranza assoluta, mentre alla seconda basta che il premier riceva più voti a favore che contro. Astenersi significa non appoggiare ma favorire l’investitura.

Spagna: dal Bipolarismo alla politica dei due blocchi

Fino al 2008 i due maggiori partiti spagnoli, il Psoe e il Partito Popolare (PP), raccoglievano complessivamente i voti di più di 8 elettori su 10. Mentre dopo le recenti consultazioni del 28 aprile la quota si è praticamente dimezzata, scendendo al 46%, il dato più basso degli ultimi 30 anni. E sarebbe andata anche peggio se l’ottimo risultato di Sanchez, osannato come uno dei leader della sinistra più performanti d’Europa in virtù del 28 percento dei voti complessivi ottenuti, e di un incremento del 38 percento di votanti rispetto alla precedente elezione, non si fosse attestato come primo partito. A spezzare in cinque grandi gruppi l’elettorato spagnolo (nell’ultima elezione si è aggiunta l’estrema destra di Vox) ormai diviso in due blocchi, destra e sinistra, piuttosto che come in passato su due partiti, ci ha pensato la crisi economica scoppiata il 15 settembre 2008, a seguito della bancarotta della Lehman Brothers e della crisi dei mutui subprime, i prestiti ad alto rischio finanziario i cui effetti hanno coinvolto pesantemente tutta Europa, e in modo particolare il sistema bancario spagnolo, subissato da una bolla immobiliare valutata in 220 miliardi di debiti per prestiti inesigibili, e per cui l’allora premier Popolare Mariano Rajoy chiese in prestito fondi internazionali per 40 miliardi di euro.

La nascita di Podemos e Ciudadanos

 

Esplosero per questi motivi le proteste contro quella che è stata definita la politica tradizionale. Protagonisti il movimento degli indignados, nato l’11 maggio 2011 e diventato una delle piattaforme di protesta più tenaci d’Europa assieme ai movimenti greci. La protesta spagnola fu inasprita anche dai numeri vertiginosi del tasso di disoccupazione, che nel 2012, in Spagna, era il più alto dell’eurozona con il 24.1 percento di cittadini senza lavoro.

Questo periodo e queste cause coincidono con la fine del sistema politico fondato sull’alternanza dei partiti tradizionali. Nel giro di pochi anni, sempre in Catalogna, nascono i due partiti che hanno smantellato il sistema politico bipolare: Unidos Podemos (2005), di matrice progressista e no global, oggi diventato uno dei partiti con più iscritti in Spagna, e Ciudadanos (2006), liberale ed europeista, nato da un gruppo di intellettuali e sempre più in rapida ascesa negli ambienti che contano della vita pubblica spagnola. Entrambi sono considerati post-novecenteschi, ossia che superano le logiche delle vecchie ideologie, ma le analogie tra Unidos Podemos e Ciudadanos finiscono qui, tanto che anche sul tema dell’indipendenza catalana, i primi sono a favore, mentre i secondi sono contro la secessione, e questo rappresenta uno dei principali fattori di inconciliabilità. La Catalogna, storicamente animata da sentimenti indipendentisti, è diventato uno dei temi che più sta logorando il dibattito pubblico spagnolo dopo la morte del dittatore Francisco Franco nel 1975. E lo è diventato ancor più dopo aver contribuito alla prematura caduta del primo Governo Sanchez, il secondo della dodicesima legislatura, a cui sono mancati proprio i voti dei partiti catalani e degli altri partiti regionali su una delle battaglie più importanti: quella sui Presupuestos, la proposta di legge Finanziaria, arrivata nei giorni in cui c’era fermento per il processo per ribellione e sedizione ad alcuni leader dell’indipendentismo catalano protagonisti del Referendum per l’indipendenza del 1 ottobre del 2017. Uno sforzo che poi fu disconosciuto dall’allora premier Rajoy, e su cui il suo successore, Sanchez, ha rifiutato di intercedere al fine di evitare la loro incriminazione.

La caduta di Rajoy e l’ascesa di Vox

La caduta del Governo Rajoy arriva su mozione di sfiducia dopo il caso Gürtel, la tangentopoli spagnola che ha portato ai minimi termini il consenso del Partito Popolare e in parte all’ascesa di Vox, il partito di estrema destra, nazionalista, machista e anti-immigrazione, che ad aprile è entrato per la prima volta in Parlamento con 24 scranni, conquistando il 10.26 percento dei voti. Molti meno, comunque, rispetto agli allarmi degli addetti ai lavori. Con l’ingresso in scena di Vox sono diventati cinque i partiti ideologici maggiori che si contendono la scena politica. Se a novembre si andasse alle urne i partiti potrebbero aumentare, vista la frammentazione che sta vivendo Unidos Podemos, cui parte dell’elettorato potrebbe seguire il politologo madrileno Íñigo Errejón, ex braccio destro di Pablo Iglesias Turrion, in rotta dalle scorse amministrative di Madrid. Il suo potrebbe diventare il partito che, un po’ come Vox, andrebbe a erodere il consenso sia dei socialisti sia di Podemos, aprendo però a nuovi problemi di intesa per la formazione dell’Esecutivo. Vox è diventato il nuovo termometro del dissenso. In molti, prima delle elezioni, hanno dichiarato di voler votare per la formazione di Santiago Abascal perché delusi dagli intrighi di potere dei partiti, anche di Podemos e Ciudadanos, e perché percepiti come lontani dalle necessità dei cittadini.

La Spagna è fuori dalla crisi

L’impasse istituzionale, segnata dalla rottura tra Psoe e Unidos Podemos, avviene in un periodo ritenuto florido dagli economisti: il Prodotto Interno lordo è infatti in continua ascesa: più 3 percento nel triennio 2015 e 2017, e + 2.6 percento lo scorso anno. Mentre rimangono ottime le aspettative anche per il 2019. Nonostante su di esso regni ancora sfiducia, il sistema bancario può esser considerato ormai fuori pericolo. L’economia è sempre più solida e con basi commerciali più robuste, grazie alle esportazioni in costante aumento (in media del circa 1.9 percento) anche se ancora lontane dai record di fine anni ’80. Bene il turismo, uno dei fiori all’occhiello del Paese, che si conferma motore economico con un’incidenza dell’ 11.7 percento sul Pil e che negli anni della crisi è cresciuto in media dal 2010 di 1.5 punti, secondo i dati diffusi dall’ Istituto di statistica spagnolo (Ine). Anche nel 2018 la Spagna è stata la meta più ambita d’Europa, con 467 milioni di notti, ma in decremento dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Il Paese ha però mantenuto il suo vantaggio davanti alla Francia che ha totalizzatp 444 milioni di pernottamenti (+ 2,4%) e all’Italia (429 milioni, + 1,9%). Ottimi i dati sull’incremento demografico: + 100 mila persone rispetto al 2017. La disoccupazione è in calo dal 2015 e l’anno scorso ha toccato quota 15.2 percento, l’inflazione, l’indice dell’aumento dei prezzi che, se contenuto rappresenta uno degli indicatori di un’economia sana, è salita all’1.7 percento, ancor più quando al contempo, ed è il caso spagnolo, sale anche il Pil pro capite. Bene anche il debito pubblico, che dopo anni in salita ormai è costantemente in calo, toccando nel 2018 quota 97.2 percento del Pil (quello italiano è al 132.2 percento e toccava quella percentuale nel 1990). Altro dato positivo è il calo del debito privato, che negli anni della crisi era diventato un vero spauracchio per la tenuta dell’economia nazionale, e che negli ultimi anni è sceso dal 268.6 percento del Pil del 2010, al 194.1 dello scorso anno.

L’impasse tra Psoe e Podemos

Il timore che si affaccia sulla Spagna, però, è che nonostante il caso Belgio, rimasto senza governo per 541 giorni, prima o poi la fiducia internazionale e l’economia risenta dello stallo istituzionale, depauperando le ottime performance che Madrid ha totalizzato in questi anni. Oggi non è semplice trovare un amalgama tra i partiti: nessuna coalizione è possibile senza i socialisti (a meno che Unidos Podemos non accetti di allearsi col blocco delle destre e con Vox). Nelle settimane passate Sanchez ha guadagnato l’appoggio di due deputati, quello del partito regionalista di Cantabria (PRC) e quello di Comprimis. Lo scoglio duro da superare per il leader socialista è la Catalogna. Sanchez vorrebbe un governo monocolore e di minoranza, con l’appoggio esterno di Unidos Podemos e della galassia dei partiti indipendentisti. Unidos Podemos, invece, chiede di entrare nel Governo, una condizione imprescindibile per il sostegno confermata anche on line dal 70 percento dei suoi iscritti, che condividono la pretesa di ottenere dei ministeri, anche minori. Pur di ottenere un posto a palazzo della Moncloa, sede dell’esecutivo, Podemos sarebbe disposto a sacrificare la presenza del suo leader, che non è gradito dal premier ad interim per via delle sue simpatie per la causa catalana. Un’ipotesi, quella di farsi di lato dall’Esecutivo, che Iglesias ha accettato. Il leader socialista ha chiesto dei profili tecnici di alta levatura per i quattro-cinque ministeri che spetteranno a Podemos, così da arrivare al processo dei leader catalani del prossimo autunno con un governo forte che non risenta dei nuovi possibili scossoni. Generalmente il premier annuncia la lista dei ministri pochi giorni dopo la sua investitura e, come prevede la Costituzione, dopo averla presentata al Re, che ha il potere di nomina su proposta del premier.

La questione catalana

I due partiti catalani rischiano di diventare nuovamente l’ago della bilancia, sia per l’investitura a premier di Sanchez che per le sorti future del governo. Erc, la formazione di matrice socialista capeggiata da Oriol Junqueras può contare su 15 scranni (ma con 14 voti vista l’assenza del segretario Marta Rovira, fuggita in Svizzera dopo i fatti del Referendum del 1 Ottobre) ha optato per un’astensione, allo stato attuale fondamentale per far sì che giovedì venga approvata la fiducia a Sanchez. Mentre JxCat, la formazione liberale di centrodestra guidata da Puidgemont ne conta sette (che in realtà sono quattro visto che sono stati sospesi i seggi di Puigdemont, Comin e Junqueras) voterà contro, schierandosi con il blocco delle destre che tanto osteggiano la causa catalana. La sensazione è che grazie all’astensione di Erc (e i sette deputati baschi di Ehbildu loro alleati) e all’appoggio di PNV e Podemos, Sanchez riuscirà a portare a casa l’investitura. Questo perché nessun partito del blocco delle sinistre vuole veramente andare a nuove elezioni con la colpa di non aver voluto formare il Governo.

Qualora Sanchez riuscisse nell’impresa di farsi investire premier, avrà comunque problemi di maggioranza e dovrà trovare di volta almeno nove voti. Tra i più papabili quelli del Partito Nazionalista Basco (PNV), di ispirazione liberal democratica, che lo sostenne anche durante i Presupuestos e che nel Congresos de los Diputatados può contare su sei scranni. Per il sostegno, però, il PNV chiede un accordo serio. Un po’ come Ehbildu (7 seggi) che ha molte posizioni vicine a Erc, e che per sciogliere le sue riserve vuole vedere cosa offre il leader socialista. Infine ci sono i già citati partiti indipendentisti catalani, che per il sostegno chiedono di riaprire il dialogo. Tra chi dice fermamente no ad un governo tra Psoe e Sanchez c’è Coalicion Canaria (CC), formazione di sinistra ma costituzionalista, ossia che riconosce la carta fondamentale come unica forma di autorità sul Governo. Coalicion Canaria ha due deputati e già durante la battaglia sulla legge Finanziaria si schierò contro l’asse Psoe-UP. Nel mese scorso, comunque, il partito ha annunciato che nonostante il no all’investitura di Sanchez, in futuro favorirà la governabilità ragionando «decreto per decreto».

Le ambizioni di Albert Rivera

Sia il Partito Popolare del nuovo leader Pablo Casado, che i liberali europeisti di Ciudadanos, hanno rinunciato ad appoggiare l’investitura a premier ad interim di Pedro Sanchez, spingendo le sinistre a trovare un accordo tra di loro. Con loro anche i due deputati di Union del Pueblo Navarro (UPN). Con i loro voti entrambi i partiti garantirebbero la governabilità al Paese. Nonostante il Partito Popolare abbia praticamente dimezzato i suoi voti (-44.9 percento) il partito di Casado può contare su 66 scranni in seno al Congreso de los Diputados, la Camera bassa delle Corti generali, che sommati ai 123 degli acerrimi rivali del Psoe arriverebbero ai 189 scranni, 14 in più della soglia di galleggiamento. Stesso discorso vale per il partito di Albert Rivera, che alle precedenti elezioni ha raggruppato 57 deputati, sufficienti per garantire una maggioranza di 180 scranni, quattro in più dei 176 della maggioranza semplice. In più di una circostanza, però, Ciudadanos ha negato il suo appoggio a Sanchez, generando malumore nei suoi iscritti. In queste ore, però, un po’ come sta avvenendo in Unidos Podemos, Francesc de Carreras, giurista e professore universitario molto stimato in patria e uno dei fondatori della formazione arancione, ha annunciato di aver lasciato il partito, proprio perché Rivera avrebbe abbandonato posizioni centriste, denigrando Sanchez ma appoggiando apertamente Vox, solo – ha spiegato poi a El Pais – per ergere Ciudadanos a partito guida del centrodestra e scalzare il Partito Popolare. De Carreras, che in un suo precedente articolo su El Pais ha definito il leader di Ciudadanos un «adolescente capriccioso», crede che il partito dovrebbe trovare un accordo con tutti i partiti costituzionalisti per assicurare la governabilità della Spagna. L’uscita di Carreras si aggiunge a quella di altri esponenti importanti, come quella di Toni Roldan, Javier Nart o Xavier Pericay. Ma sia Rivera che Casado sembrano intenzionati a tirare dritto per le loro posizioni, costringendo il blocco delle sinistre ad allearsi tra di loro, calcando i banchi dell’opposizione e lucrare il consenso necessario che in futuro potrebbe aprire loro le porte della Moncloa da protagonisti.

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