San Giuseppe dei Falegnami, cosa rappresentava quel tetto…

di Erennio Ponzio

Pubblicato il 2018-08-31

Fino a tarda notte, molti curiosi si sono uniti agli abituali turisti in una notte d’agosto senza un filo di vento per dare un’occhiata al tetto scoperchiato di quella che fu la splendida chiesa cinquecento-seicentesca di San Giuseppe dei Falegnami nel Foro romano, proprio alle spalle del Campidoglio. Non è possibile nemmeno avvicinarsi ai resti, …

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Fino a tarda notte, molti curiosi si sono uniti agli abituali turisti in una notte d’agosto senza un filo di vento per dare un’occhiata al tetto scoperchiato di quella che fu la splendida chiesa cinquecento-seicentesca di San Giuseppe dei Falegnami nel Foro romano, proprio alle spalle del Campidoglio. Non è possibile nemmeno avvicinarsi ai resti, come per dare l’estremo saluto ad un parente caro, in quanto due pattuglie di vigili urbani ad un centinaio di metri dal “cantiere” – da sopra e da sotto – ne impediscono l’accesso.

Per i romani e per i tanti che – per fortuna – continuano ad amare la cultura (“che non dà da mangiare”) s’è aperta l’ennesima ferita, un po’ come quando rubarono il bambinello dell’Ara Coeli nel 1994. Il ricordo di quel tetto splendidamente intagliato da sapienti mani seicentesche stride con le nefandezze estetiche che il Novecento ha elargito a iosa a questa città, con rare voci di opposizione come quella di Antonio Cederna, che proprio con il sogno del parco dei Fori ha caratterizzato un’intera esistenza.

san giuseppe dei falegnami cause crollo

In una delle città più belle al mondo, lo stato di molti luoghi secolari o millenari è indegno: basta, ad esempio, recarsi a ridosso di almeno tre basiliche su quattro per imbattersi in una crescente sporcizia (le schiere di bottiglie vuote fanno ormai parte della scenografia), abusivismo commerciale, continui bivacchi, diffusa illegalità. I pacchiani furgoncini commerciali della famiglia di un ex consigliere comunale continuano a presidiare i principali luoghi storici nonostante almeno tre decenni di polemiche. La visione della basilica di San Giovanni in Laterano è ormai orfana di un’antica pineta laterale che è stata sacrificata con il cantiere della metro C probabilmente per non toccare altri suoli.

Il verde è praticamente senza manutenzione da quando sono emerse le gestioni non proprio cristalline del signor Salvatore Buzzi, pratico dei Palazzi amministrativi come un’esperta guida turistica. Molte ville sono ormai gestite da associazioni di volontari, che si occupano persino della loro chiusura. Non c’è settimana in cui le cronache non debbano riferire di sfregi materiali e immateriali: i bagni naturisti in una fontana sotto l’Altare della Patria, con l’immancabile video, rappresentano solo l’ultimo affronto al decoro e alla sicurezza. Mentre la zona di Campo de’ Fiori è ormai immolata alla movida notturna.

Ma il crollo nel Foro, per paradosso, non è probabilmente figlio dell’incuria. C’è infatti un aspetto che sconcerta, legato a ciò che rimane della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami: sulle pareti non ci sono segni del tempo. Anzi, spicca un colore tra l’arancio e il rosa fresco di restauro. Così come emerge che il magnifico tetto – che concorre da decenni a richiamare frotte di imminenti sposi alla ricerca della scenografia più gradita – è stato restaurato solo nel 2015, cioè appena tre anni fa.

Al di là dell’accertamento ufficiale delle cause, non è la prima volta che a Roma vengono giù testimonianze secolari “vittime” di recenti interventi di manutenzione. Tratti delle bimillenarie Mura Aureliane, ad esempio, hanno ceduto proprio dopo maquillage dei nostri giorni. Anche i recenti terremoti hanno rivelato la diffusa approssimazione, per usare un eufemismo, di certa nostra edilizia. Il problema, dicono gli esperti, è che s’è persa l’abilità artigiana di garantire la tenuta con antiche e impeccabili tecniche di muratura e delle volte in legno, molto diffuse fino ad un secolo fa fino ad essere soppiantate dalle fredde infrastrutture in cemento armato che hanno bisogno di manutenzione già dopo mezzo secolo. E’ inevitabile il pensiero al ponte di Genova.

Il crollo del tetto della splendida chiesa, la cui proprietà è del Vicariato ma la cui manutenzione spetta al Mibac, cioè allo Stato, riaccende quindi il dibattito sulla gestione delle nostre opere d’arte, intaccando il senso stesso della nostra identità. Il tetto presentava al centro la Natività, sui lati i santi Pietro, Paolo e San Giuseppe, patrono della Chiesa universale e dei padri di famiglia.
Il luogo di culto fu voluto dalla Congregazione dei Falegnami, che nel nel 1540 aveva preso in affitto la preesistente chiesa di San Pietro in Carcere, in un emblematico incontro tra mondo del lavoro e spiritualità. Tra le importanti opere seicentesche che racchiude, ricordiamo un quadro del 1650 di Carlo Maratta, che sarà ora trasferito a San Giovanni in Laterano.

Alla funzione religiosa si somma quella laica: la chiesa sovrasta il Carcere Mamertino, la più antica, e per lungo tempo l’unica, prigione della Roma imperiale. Secondo Livio fa ricavata in antiche cave di tufo e realizzata da Anco Marzio. Qui hanno perso la vita Giugurta, re della Numidia (104 a.C.), Vercingetorice, capo dei Galli (49 a.C.), i partigiani di Gaio Gracco (123 a.C.), i Catilinari (60 a.C.), Seiano e i suoi figli (31 d.C.). La tradizione vuole che qui furono rinchiusi anche san Pietro e san Paolo. Insomma, siamo tutti un po’ più poveri.

(foto di Nextquotidiano)

Leggi sull’argomento: Il crollo del tetto della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami a Roma

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