Salvini e la pericolosa (per lui) tentazione dei referendum

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-16

Il secondo Matteo della politica italiana sta seguendo le orme dell’odiato Renzi. Dopo la sbornia alle europee ora vuole convocare un referendum su se stesso per far vedere a tutti quanto è amato dal “popolo sovrano”. Ma in una democrazia matura al voto ci si va per le cose serie, non per far salire l’indice di gradimento di questo o quel politico

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La sovranità appartiene al Popolo, ripetono quelli che della Costituzione hanno letto metà dell’articolo 1. E Salvini conosce bene i suoi polli, quelli che parlano di tradimento della volontà popolare e di premier non eletto dal popolo. Durante il convegno con i presidenti di Regione e i sindaci eletti col Carroccio il leader della Lega ha proposto a cinque consigli regionali di «depositare un quesito referendario che rende interamente maggioritario il sistema elettorale in Italia».

Ma Salvini vuole fare opposizione a colpi di referendum?

Ma siccome i referendum non sono mai abbastanza ieri da Pontida Salvini ha rilanciato. Se il governo proverà a toccare i due Decreti Sicurezza il popolo verrà chiamato a difenderli: «Se provano a smontarlo sono sicuro che saremmo capaci di raccogliere 5 milioni di firme». E via con un altro referendum. Certo, questo meno probabile del primo visto che Conte ha annunciato di voler modificare quelle parti del Decreto Sicurezza che rischiano di essere dichiarate incostituzionali. La tattica della Lega è molto semplice: loro si chiudono nel Palazzo a fare le leggi, noi allora chiamiamo a raccolta il popolo, nelle piazze e con il voto referendario. Una prova di forza che ai leghisti piace, visto il successo dell’inutile e costoso doppio referendum del lombardo-veneto per l’autonomia. Si poteva fare tutto con una raccomandata, ma loro stanno dalla parte del popolo capito?

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Ma è chiaramente contro l’ipotesi di un ritorno al proporzionale che si vuole battere Salvini. Perché tutti sanno che una legge proporzionale finirebbe per penalizzare la Lega ridimensionando i sogni di gloria del Capitano che sarebbe costretto ad alleanze con partiti minori (Forza Italia e Fratelli d’Italia) per andare al governo e vedere così molto ridotto il suo raggio d’azione. La strategia per sbarrare la strada ad una legge elettorale di questo genere non è una proposta di legge popolare (bastano 50mila firme). Salvini sa che il Parlamento non ha alcun obbligo di calendarizzare la discussione delle proposte di legge di iniziativa popolare. Molto più semplice far chiedere da 5 consigli regionali l’abrogazione di parte dell’attuale legge elettorale con un quesito che la renda interamente maggioritaria.

I rischi del voto referendario

Ci sono poi dei dettagli di cui Salvini non tiene conto. Il primo è quando dice che «se cinque regioni lo approvano entro settembre si va al referendum in primavera» (il tempo utile per votare un referendum è tra il 15 aprile e il 15 giugno). Questo significa che per modificare la legge elettorale, ammesso e non concesso che il quesito venga accolto (dipenderà da come è scritto perché se lasciassero un vuoto legislativo potrebbero non essere ammessi) e che ottenga la maggioranza, l’anno prossimo non si potrà andare al voto per il rinnovo per il Parlamento. Perché per legge non si può celebrare un referendum abrogativo nello stesso anno in cui si va al rinnovo del Parlamento. La situazione referendaria è resa ancora più complessa dall’iter della legge sul taglio del numero dei parlamentari, che essa stessa potrebbe essere oggetto di referendum. Senza contare che in entrambi i casi sarebbe necessario modificare la geografia dei collegi elettorali di Camera e Senato. Tradotto: con il referendum Salvini garantisce al Conte bis almeno un anno di vita. Il Parlamento poi potrebbe legiferare modificando la legge elettorale attuale e neutralizzare così i quesiti (o il quesito) referendari.

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Il secondo punto è che anche dopo l’eventuale vittoria del referendum il Parlamento potrebbe trovarsi nella necessità di mettere mano alla legge elettorale. Salvini poi dovrebbe spiegare ai suoi perché oggi vuole una legge elettorale completamente maggioritaria quando la attuale legge elettorale (il cosiddetto Rosatellum bis) è stata votata anche grazie ai voti della Lega Nord. E se guardiamo al passato il porcellum, ovvero la Legge Calderoli (dal nome del senatore della Lega Nord) era una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza. Sembra che la Lega, come tutti i partiti, abbia una certa convenienza a cambiare spesso idea sul sistema con cui il popolo è chiamato a votare ed eleggere i suoi rappresentanti. C’è poi il fattore Renzi. È del tutto evidente che un referendum abrogativo sulla legge elettorale (per inciso i referendum sul porcellum non raggiunsero il quorum) verrà personalizzato sulla figura di Salvini. Come il referendum sulla riforma costituzionale del 2016 non diventerà un voto sulla figura del leader della Lega. E il rischio è che molti elettori, anche di centrodestra, cui Salvini non sta proprio simpatico decidano di votare contro. In fondo anche Renzi veniva da un successo clamoroso alle europee e da un referendum vinto (quello sulle trivelle, richiesto da 5 consigli regionali). Certo, l’allora leader del PD era al governo mentre Salvini sarà all’opposizione, ma il rischio della eccessiva personalizzazione del voto rimane. E a farne le conseguenze sarebbe proprio la leadership di Salvini.

 

 

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