La risposta di Tria alla Ue in dieci pagine

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2019-05-31

La replica consta di dieci pagine con grafici e numeri, e con l’elenco dei “fattori rilevanti”, cioè le controdeduzioni che giustificano la crescita del nostro debito pubblico

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La risposta di Giovanni Tria alla lettera con cui l’Unione Europea chiede conto della crescita del debito pubblico è pronta. Roberto Petrini su Repubblica racconta che la replica consta di dieci pagine con grafici e numeri, e con l’elenco dei “fattori rilevanti”, cioè le controdeduzioni che giustificano la crescita del nostro debito pubblico di fronte alle accuse della Commissione nel tentativo di evitare il cartellino rosso di Bruxelles.

Nella lettera  si spiega nostro debito è «gestibile e sostenibile» perché ha una «lunga maturità e tassi fissi» in grado di garantire una certa resilienza alla volatilità del mercato finanziario. Poi altri tre argomenti che si riferiscono tutti allo scorso anno, quello messo nel mirino dalla Commissione. Il primo riguarda la crescita del debito: la Ue rileva che è aumentato al 132,2 per cento nel 2018 contro il 131,4 l’anno precedente. Ma la crescita del rapporto tra debito e Pil, spiega l’Italia, è dovuta soprattutto al denominatore, cioè al Pil.

In primo luogo perché lo scorso anno c’è stato un rallentamento dell’economia dell’Eurozona e del commercio internazionale che ha colpito le nostre manifatture: tanto è vero che il Pil, che si prevedeva all’1,5 per cento è poi sceso allo 0,9 per cento. Secondariamente perché il Pil, che nei parametri comunitari viene calcolato al nominale, cioè con l’inflazione, ha risentito proprio del calo dei prezzi tanto che il “deflatore”, cioè l’inflazione per l’intera economia, è cresciuto nel 2018 solo dello 0,8 per cento.

Terzo fattore rilevante su cui insiste la lettera è il calcolo dell’output gap, che da tempo divide l’Italia dalla Commissione. Si tratta della differenza tra il Pil che potenzialmente l’Italia potrebbe raggiungere e quanto effettivamente totalizza: maggiore è la differenza, maggiore è lo sconto su cui possiamo contare per abbattere il deficit strutturale, cioè la grandezza che ogni anno dobbiamo migliorare per raggiungere il pareggio di bilancio fissato dal Fiscal Compact. Nel 2018 avevamo già concordato di migliorare il deficit strutturale di 0,3 del Pil, invece abbiamo fatto zero mentre la Commissione calcola addirittura un peggioramento dello 0,1 per cento.

Questi i punti fondamentali, mentre non ci sarà nessun cenno ad una accelerazione delle tradizionali procedure di dismissioni e privatizzazioni. Strano, visto che c’era la promessa di portarne a casa per 10 miliardi di euro.

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