Renzi, Berlusconi, Grillo: la Trattativa

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2014-11-08

Silvio ci punta, Matteo ci spera, Beppe pure anzi no. Le prove tecniche di nuova maggioranza proseguono mentre l’idea delle elezioni stuzzica sempre di più il premier. Intanto la realtà incombe, e l’economia…

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Silvio Berlusconi punta ancora sulla trattativa, aspetterà fino a domenica sera. Matteo Renzi non pensa allo scouting ma chi vuole starci è benvenuto al tavolo. Il MoVimento 5 Stelle è pronto a un metodo, non a un’intesa. La politica italiana entra in fibrillazione permanente sul tema meno interessante per l’economia del paese: le riforme istituzionali. Ma i giocatori sono naturalmente appassionati alle regole del gioco, e quando sono le regole che possono portare a una vittoria o a una sconfitta elettorale lo sono ancora di più. Soprattutto nel momento in cui ad uno dei giocatori converrebbe tanto andare alle elezioni e riscuotere il pedaggio del suo consenso e dell’imbarazzo nel campo altrui, dove non c’è un candidato credibile. Mentre chi cerca di organizzarsi la propria squadra rischierebbe di dover venire a patti con Forza Italia o rischia di rinunciare a entrare in parlamento.

L'infografica del Giornale con la simulazione dell'Italicum (7 novembre 2014)
L’infografica del Giornale con la simulazione dell’Italicum (7 novembre 2014)

RENZI, BERLUSCONI, GRILLO: LA TRATTATIVA
La posizione del MoVimento 5 Stelle è nitida: «Apertura al PD? Sì, forse, no». Luigi Di Maio dopo la votazione per il CSM apre in un’intervista al Corriere della Sera a possibili altre convergenze e poi corre a smentire tutto sul Facebook, mentre Vito Crimi ribadisce la linea dura e il no a oltranza. Mentre La Stampa scrive che Casaleggio apre alla linea della trattativa: prima del voto di giovedì, Gianroberto Casaleggio era al telefono con i suoi che stazionavano in Transatlantico. «Non c’è un’idea buona o cattiva. Il punto è realizzarla e vedere come va a finire», ha risposto a chi gli chiedeva se non avesse qualche dubbio sulla strada intrapresa, secondo Francesco Maesano. Da lontano comincia a stagliarsi il Quirinale, che oggi Repubblica dà libero già a gennaio, visto che Giorgio Napolitano avrebbe deciso di annunciare il suo addio a fine anno. Ecco quindi che un nome comune tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle, da eleggere alla prima votazione, potrebbe dare il via alla corsa alle elezioni per marzo, nel momento in cui Berlusconi si potrebbe trovare sconfitto politicamente e impreparato elettoralmente, senza un candidato suo e con il migliore dei vicini (Matteo Salvini) che ha intenzione di fare quello che non è riuscito a fare del tutto Renzi: rottamarlo. «Non siamo pronti ad un’intesa ma siamo pronti ad un metodo: quello della condivisione e della democrazia », dice infatti Danilo Toninelli del MoVimento 5 Stelle, mentre Barbara Lezzi ed altri ricordano che il PD rimane il male assoluto per non tradire una linea che agli elettori sarebbe difficile spiegare, è vero, ma almeno avrebbe una giustificazione migliore rispetto all’immobilismo che ha di fatto congelato il patrimonio di un quarto dei voti che i grillini si erano conquistati un anno e mezzo fa, e che già comincia significativaemnte ad erodere.

La simulazione dell’Italicum di Youdem per Repubblica.it


SI SENTE ODORE DI URNE?
D’altronde per Renzi il profumo di elezioni è come il napalm al mattino per il colonnello Kilgore. E il motivo si capisce benissimo. I sondaggi accreditano il suo Partito Democratico al 44%, è riuscito a far passare la balla dei 18 miliardi di tagli alle tasse nella Legge di Stabilità 2015, il primo esame dell’Europa è passato (con danni, ma non importa). Il candidato più credibile a ricevere una legittimazione elettorale che cancellerebbe tutte le obiezioni sulla sua salita a Palazzo Chigi e probabilmente gli consentirebbe anche di staccarsi e dimenticarsi per sempre di alleati oggi scomodi, domani impresentabili. Dall’altra parte il Patto del Nazareno scricchiola e i grillini sono inaffidabili. L’alternativa più reale a questa strada per Renzi è puntare sull’alternativa dei fuoriusciti dagli altri movimenti per arrivare a una maggioranza comoda in Senato anche senza Alfano. Ma questa situazione dovrebbe presumere una volontà di mantenere immutato il quadro politico e stabile nell’attesa delle riforme e della crescita. E qui arriviamo al vero punto dello stallo politico.
 
LA VERA PARTITA
Se è vero infatti che la partita delle riforme istituzionali è quella meno interessante per l’economia del paese, è anche vero che la situazione economica è invece quella che dovrebbe preoccupare di più Renzi. La storia ci insegna che l’alternanza al potere di centrodestra e centrosinistra in Italia è sempre stata legata a come avevano lasciato il paese l’uno e l’altro dopo il loro governo. Inutile ricordare come è andata. Inutile ricordare che per ora l’economia italiana sembra insensibile all’invito di cambiare verso. La realtà è l’unica vera opposizione di Renzi. E da Bruxelles come da Francoforte i segnali che arrivano non sono incoraggianti. Rispetto alla propaganda, i saldi della Legge di Stabilità hanno infatti spiegato già in partenza lo scarso impatto che avrà la manovra sull’Italia. Il rischio è che, se i dati economici non miglioreranno, si possa passare da scarso a nullo e aver perso così un altro anno per riagganciare la crescita, mentre 3,2 miliardi se ne vanno, per volontà di Bruxelles, a migliorare quel rapporto Debito/PIL che sarà sempre più difficile da calcolare con il tempo che passa, per colpa del denominatore.
L'impatto della Legge di Stabilità 2015 (Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2014)
L’impatto della Legge di Stabilità 2015 (Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2014)

Questa partita non sembra potersi sbloccare con i decimali che regalerebbe Bruxelles. Questa è la vera partita di Renzi, e la più difficile. Ma l’Europa non ha intenzione per ora di cambiare verso. E la marea potrebbe riuscire a portarsi via alla fine anche lui. Per farsi posto alla Trojka.
Immagine copertina da La Trattativa

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