Il referendum tra gli iscritti PD sull’alleanza con il M5S

di dipocheparole

Pubblicato il 2018-03-17

Il Fatto Quotidiano oggi riprende quanto detto da Maurizio Martina nell’intervista rilasciata ieri a Repubblica per ricordare che il Partito Democratico nello Statuto prevede il ricorso al referendum tra gli iscritti come strumento di democrazia diretta. Al Pd, dice Martina, “servono strumenti di democrazia diretta”. E li cita, sebbene in modo generico: sicuramente non sono …

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Il Fatto Quotidiano oggi riprende quanto detto da Maurizio Martina nell’intervista rilasciata ieri a Repubblica per ricordare che il Partito Democratico nello Statuto prevede il ricorso al referendum tra gli iscritti come strumento di democrazia diretta.

Al Pd, dice Martina, “servono strumenti di democrazia diretta”. E li cita, sebbene in modo generico: sicuramente non sono come quelli del Movimento 5 Stelle, “un modello con grandi lacune”, ma “penso piuttosto alla Spd, che ha costruito alcuni passaggi chiave con la partecipazione diretta degli iscritti”. Il fatto è che l’esempio scelto da Martina smentisce implicitamente l’assunto di partenza (quello del Pd comunque all’opposizione).

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Il partito socialdemocratico tedesco infatti a fine febbraio ha sottoposto ai suoi tesserati la decisione politicamente più delicata e rilevante: partecipare o meno alla grande coalizione con la Cdu di Angela Merkel. Un’opzione che peraltro era stata chiaramente scartata dall’Spd durante la campagna elettorale. Proprio il 4 marzo, gli iscritti socialdemocratici hanno dato il via libera all’alleanza di governo con il 66% dei voti a favore.

Martina al contrario sul governo ha già deciso: nessuna apertura, il Pd non partecipa a maggioranze. Ma quale occasione migliore ci sarebbe stata per adottare quegli “strumenti di democrazia diretta” invidiati ai compagni tedeschi?

Secondo il ragionamento del Fatto, quindi, il Partito Democratico dovrebbe convocare un referendum come quello dell’SPD in Germania. C’è però un problema: SPD in Germania ha fatto votare gli iscritti su un accordo con la Merkel che prevedeva, ad esempio, una serie di punti in comune nel programma e l’assegnazione di molti ministeri-chiave ai socialdemocratici. Il curioso concetto di democrazia esposto qualche giorno fa da Luigi Di Maio non sembra andare in questa direzione, visto che nella conferenza alla sede della Stampa Estera il caudillo ha sostenuto che gli elettori “hanno scelto” lui e il suo governo, che avrebbe “un’investitura popolare” (la prima nel mondo con il 32% dei suffragi, evidentemente). Quello che manca nel ragionamento del Fatto è che si può votare su una proposta se quella proposta c’è. Se la proposta è “dateci la fiducia e poi vediamo” allora non è una proposta: è una presa in giro creata utilizzando concetti da Stato Libero di Bananas.

Leggi sull’argomento: Il piano diabolico del M5S sui vitalizi

 

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