Quanto manca a Venezia un vero assessore alla Cultura

di Massimiliano Zane

Pubblicato il 2020-06-24

Dopo l’acqua alta di novembre e la pandemia da Coronavirus il fragile equilibrio di Venezia è stato fortemente compromesso.  In questo quadro la città lagunare oggi ha una grande opportunità di riscattarsi solo attraverso un piano strategico che intervenga a ridefinire un intero modello gestionale urbano. Un modello sulla carta ricco di potenzialità, ma che, …

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Dopo l’acqua alta di novembre e la pandemia da Coronavirus il fragile equilibrio di Venezia è stato fortemente compromesso.  In questo quadro la città lagunare oggi ha una grande opportunità di riscattarsi solo attraverso un piano strategico che intervenga a ridefinire un intero modello gestionale urbano. Un modello sulla carta ricco di potenzialità, ma che, se piegato a logiche contingenti miopi, sostanzialmente di sfruttamento economico, rischia di perdere il proprio slancio, come purtroppo sta accadendo. Sfortunatamente il non aver un assessore della cultura cui riferirsi mina alla base ogni possibilità concreta di rilancio. Tuttavia si continua perpetrare l’immobilismo istituzionale che soprattutto in questa fase di ripresa dimostra come l’amministrazione miei sostanzialmente nelle politiche di sfruttamento edonistico della città e del suo patrimonio culturale: una non-strategia che relega una immensa risorsa a soli fini turistici “di massa”.

Questo momento sospeso di offre l’opportunità di riformare la strategia ed il “disegno” che sta a monte della governance culturale della città, e questo per mettere a valore ciò che sta a valle: il patrimonio culturale in primis, ma anche l’intera filiera che esso è in grado di mettere in movimento. Continuare a perseguire vecchie traiettorie, spostando l’attenzione e gli investimenti incrementando operazioni spot basate solo dalla conta totale di ingressi e incassi (con numeri e statistiche non “raffinate” e spesso derivanti dall’overtourism) significa non considerare (e limitare) ogni sorta di impatti a lungo termine sull’intero territorio urbano e la propria cittadinanza.

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I luoghi della cultura sono innanzitutto infrastrutture culturali di prossimità volte ad accrescere il tessuto e l’identità di un territorio e che da quel territorio traggono non solo il loro sostegno ma anche la loro stessa ragion d’essere. Intendendole altrimenti, ovvero non come parte attiva del tessuto cittadino e sociale, ma come mere attrazioni turistiche, il rischio è creare bellissimi non-luoghi, sbilanciandone l’intera offerta di servizi e piegando l’intera struttura organizzativa verso la sola “gestione” dei flussi di cassa vincolandoli alla sola e “volatile” bigliettazione, prima ancora che verso una più stabile e sostenibile accessibilità. Inoltre, se consideriamo che il turismo muove il 12/14% del PIL nazionale, e che l’80% del turismo è tendenzialmente turismo culturale (quindi che usufruisce di servizi culturali rilasciati dai nostri musei, ma anche teatri, ad esempio), capiamo come arte e cultura muovano una immensa quantità di capitali e filiere intrecciate (come ad esempio con le imprese ITC che investono in valorizzazione culturale). Senza contare l’impatto sulla crescita personale e sulla qualità della vita, che a loro volta attivano sistemi economici che attraggono investimenti e capitali. Non investire in cultura e non esser in grado di governarla, o peggio, non volerla governare rinunciando ad un assessorato centrale per la vita di una città come Venezia, quindi considerandola ancillare a tutto il resto, significa scientemente rinunciare a enormi quote di mercato per la crescita locale; nella stessa maniera riproporre il mero sfruttamento culturale della città, secondo una prospettiva superficiale di ripristinare dinamiche, modalità e volumi turistici come nella pre emergenza (e se ce la si fa pure aumentarli) è ancor più dannoso, soprattutto se unito ad un piano di rilancio che lascia intendere una crescente volontà di ritorno alla normalità attraverso un effimero rilancio di massa che potrebbe prevalere su una più strutturata e complessa riforma delle politiche culturali in città.

Ecco allora la prossima sfida cui dobbiamo porre attenzione. Una sfida “a tempo”, non facile, ma una sfida cui non possiamo sottrarci semplicemente riproponendo vecchi schemi e le medesime dinamiche del pre covid, ora serve padroneggiare il cambiamento facendolo diventare un valore aggiunto in tutti i campi, anche quello turistico e culturale, al di là di proclami e buone intenzioni, usando questo tempo “sospeso” per creare nuovi interessi, nuove tratte, nuove destinazioni, nuove strategie; riducendo gli impatti su un’area singola (ad esempio quella veneziana insulare) e accrescendo le occasioni di conoscenza secondo altre ottiche. Fare altrimenti, voler ristabilire rapidamente (a tutti i costi) il vuoto monetario di un settore, quello prettamente ricettivo, inquadrandolo attraverso finalità “fini a se stesse”, che si rivolgono meramente all’aspetto “di massa”, significherebbe spingere ad azioni frettolose e scomposte, che potrebbero portare il sistema urbano a una normalità che poi tanto normalità non era.

Ecco allora che un assessorato dedicato alle risorse culturali non è più solo una possibilità una è una necessità, e urgente: per non sprecare l’occasione, crogiolandoci in ciò che è stato, lasciando cadere questo momento sospeso, questa congiunzione tra crisi e opportunità che più di ogni altra ci offre l’occasione di sperimentare, di far di Venezia un laboratorio attivo per riformulare (se non addirittura formulare ex novo) la complessità delle proprie strategie attivando una maggior capacità progettuale congiunta e condivisa; e soprattutto di farlo non solo per superare rapidamente l’emergenza, ma anche per ridisegnare l’idea stessa di città che vogliamo iniziare a costruire oggi per i decenni a venire: una città frutto di stratificazioni e azioni culturali svolte in modo sostanzialmente dialettico tra uomo, cultura e natura, non dimentichiamolo. Perché nessuno vuole una Venezia senza turismo, non sarebbe giusto né sensato nasconderne il valore (culturale in primis) al mondo, ma neanche necessariamente si deve tornare a fare i conti con gli eccessi di prima, anzi.

In questo scenario, la nostra città, Venezia può e deve assumere una leadership forte nel farsi portavoce di un sostanziale cambio di prospettiva,nell’adottare linee guida innovative, nel favorire una nuova collaborazione pubblico-privato, un patto per generare risorse e accrescere le esternalità positive sui territori, anche extra-economiche.

luigi brugnaro sindaco di venezia

Il terreno veneziano è culturalmente fertile per sua stessa natura. Pensiamo ai musei della rete civica, che grazie anche ad un ottimo lavoro con le scuole, era una realtà consolidata ma si può e si deve migliorare. Le prospettive, peraltro, non sono incoraggianti, visto i cambiamenti con cui siamo oggi costretti a fare i conti e che faranno sentire i loro effetti per molto tempo al di là della crisi sanitaria. Un rallentamento che peserà anzitutto sulle realtà “minori”. O prediamo ad esempio l’importantissima  presenza del Teatro, dal Toniolo a Mestre e del Goldoni a Venezia, luoghi della relazione ancor prima che della cultura, che possono divenire punti di riferimento, tanto più se in compresenza della Fenice, per quanto riguarda la lirico/sinfonica, per una nuova socialità post-pandemica. O col cinema e la necessità di una rinnovata Partnerships con la Veneto Film Commission; o con la Biennale, che dopo oltre 100 anni ancora è luogo di cultura di altissimo livello, riconosciuto da tutto il mondo, attirando centinaia di migliaia di visitatori. O ancora con una revisione sostanziale del progetto M9, che vede la necessità immediata di riprogrammare e riprogrammarsi per offrire non solo un nuovo tipo di offerta, ma una nuova sua interpretazione per un rilancio attivo della partecipazione all’esperienza culturale. Serve riscriverne i processi di partecipazione secondo un reale processo collettivo, che guarda ai musei quale tassello essenziale dell’ecosistema sociale in cui sono inseriti.

Occorre dunque rivedere soprattutto i rapporti di comunicazione e relazione con la cittadinanza attraverso la propria capacità di farsi portatore di un messaggio condiviso attivo e non solo informativo per divenire realmente produttore di “valore” e attrattività puntando ad esempio su una attento uso delle opportunità offerte dalle reti e dai fondi europei e sulla capacità di intercettarle, tanto a livello istituzionale che civico, attivando una maggior capacità progettuale congiunta e condivisa come perno di crescita anche del territorio.

Sarà dunque fondamentale avere un referente istituzionale che detto la linea, imposti una visione, iniziando quanto prima ad implementare una programmazione di produzioni culturali, tanto “internazionali” quanto “native”, siano esse teatrali, cinematografiche, museali, di spettacolo o altro, che trovino nella nostra città la propria base.

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