La “pista sarda” nell’indagine sul Mostro di Firenze e la nuova perizia che potrebbe cambiare tutto

di Antonio Murzio e Angelo Barraco

Pubblicato il 2020-06-24

Una perizia commissionata alla grafologa forense Sara Cordella potrebbe riscrivere la storia del Mostro di Firenze, riaprendo una pista, quella “sarda”, che era stata battuta dagli inquirenti agli inizi della catena di otto duplici omicidi protrattasi dal 1968 al 1985 e poi abbandonata

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Una perizia commissionata alla grafologa forense Sara Cordella potrebbe riscrivere la storia del Mostro di Firenze, riaprendo una pista, quella “sarda”, che era stata battuta dagli inquirenti agli inizi della catena di otto duplici omicidi protrattasi dal 1968 al 1985. Otto duplici omicidi compiuti da una mano ignota che ha impugnato una Beretta calibro 22 “Long Rifle” nel buio delle campagne toscane.

Mostro di Firenze, una perizia grafologica riapre la pista sarda

Per i delitti del Mostro di Firenze sono stati condannati in via definitiva Mario Vanni e Giancarlo Lotti per quattro degli otto duplici omicidi, mentre Pietro Pacciani era stato condannato in primo grado ma assolto in appello. Prima di arrivare a loro, gli inquirenti avevano battuto la cosiddetta “pista sarda”, quella che, grazie alla perizia della Cordella (che ha ricevuto l’incarico da Francesco Cappelletti, titolare del blog Insufficienza di prove), potrebbe essere ripresa in considerazione, perché porta alla luce un risvolto inedito: la famosa ricevuta fiscale, rinvenuta a casa di Luisa Meoni il giorno del ritrovamento del suo cadavere (13 ottobre 1984), a firma PIC, Pronto Intervento Casa di Salvatore Vinci, è stata scritta dalla stessa mano che scrisse  la lettera anonima spedita al quotidiano La Nazione il 20 settembre 1985 e da sempre considerata come una tra le reali missive inviate dal mostro alla stampa e agli organi inquirenti.

La lettera anonima a La Nazione

 

La lettera anonima a La Nazione ritenuta inviata dal Mostro di Firenze
La lettera anonima a La Nazione ritenuta inviata dal Mostro di Firenze

I delitti del Mostro di Firenze e la pista sarda

Sono passati cinquant’anni e, terminati i processi, rimangono ancora i dubbi su questa storia. Una storia che inizia il 21 agosto del 1968, a Lastra a Signa (Castelletti a Signa), dove vengono brutalmente uccisi Barbara Locci, 32 anni e Antonio Lo Bianco. La coppia era all’interno della Giulia Alfa Romeo Giulia di proprietà dell’uomo. . Il killer ha sparato ad entrambi, poi ha separato i loro corpi che si stavano per congiungersi carnalmente, ha frugato nell’auto e forse ha pure rivestito la donna. Nel sedile posteriore dell’autovettura c’era il piccolo Natalino Mele, di sei anni, figlio di Barbara, che dormiva ed era scalzo. “Aprimi la porta perché ho sonno ed ho il babbo ammalato a letto. Dopo mi accompagni a casa perché c’è la mi’ mamma e lo zio che sono morti in macchina”, sono queste le parole che ha pronunciato il piccolo Natalino alle due di notte, dopo essere arrivato a casa della famiglia De Felice, scalzo, percorrendo un sentieri impervio e senza scarpe di 2km e 100 metri, al buio.

Salvatore Vinci (foto sienanews)
Salvatore Vinci (foto sienanews)

E’ realmente andata così? Oppure qualcuno lo ha accompagnato il piccolo in quella casa? Resta un mistero. Per quel delitto c’è un colpevole, si chiama Stefano Mele, marito di Barbara Locci, che si autoaccusa, anche se successivamente cambia versione e punta il dito sugli amanti della moglie: Salvatore, Francesco e Giovanni Vinci. L’arma del delitto, invece, non si trova. Mele riferisce in un primo momento di averla gettata, successivamente cambia versione dicendo di averla riconsegnata a Salvatore Vinci. Quel delitto sembra proprio questione legata a gelosie, tradimenti finita male. Un delitto passionale maturato tra il marito geloso e la moglie infedele scoperta sul fatto con uno dei tanti amanti. Stefano Mele viene condannato ma rimangono molti dubbi su quel delitto: chi ha sparato? Chi ha preso l’arma? Gli inquirenti hanno accertato che Mele, quella notte, era certamente presente sulla scena del crimine, come è stato rilevante il ruolo del clan dei Sardi, finiti in carcere in modo concatenante e poi scagionati per i delitti del mostro tutte le volte ne finiva in carcere uno di loro. Il fascicolo delitto del ’68 sembra chiuso, con un colpevole in carcere. Il 19 giugno 1982, a Baccaiano, vengono uccisi Paolo Mainardi e Antonella Migliorini all’interno della loro Fiat 147, in un spiazzale sulla Strada Provinciale Virginio Nuova. Vengono sorpresi mentre stanno per fare l’amore. Antonella muore sul colpo, Paolo invece rimane gravemente ferito e riesce ad azionare la retromarcia tentando disperatamente la fuga, finendo però in una scarpata.

La grafologa forense sara Cordella
La grafologa forense sara Cordella

L’ipotesi che sia stato il Mainardi a fare questa manovra, però, è oggetto di innumerevoli controversie e molti asseriscono che sia stato proprio il Mostro ad occultare la macchina in quel modo. Dopo 15 anni dal delitto di Signa, arriva una segnalazione in cui viene suggerito di andare a rivedere il delitto del ’68. Il materiale probatorio di quel delitto non era stato distrutto, era ancora conservato. Da tale scoperta viene rimesso in discussione tutto e gli inquirenti questa volta puntano il dito contro Francesco Vinci. Nell’agosto dell’82, Vinci finisce in carcere dopo le nuove accuse mosse da Mele. Nel 1983 vengono uccisi Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch a Giogoli e Vinci, trovandosi in carcere in quel momento, non poteva essere lui l’autore dei delitti quindi viene scagionato. Il 7 agosto 1993, Francesco Vinci viene assassinato insieme al suo amico Angelo Vargiu, nei pressi di una pineta a Chianni. I corpi erano incaprettati, chiusi dentro il bagagliaio della macchina incendiata. Pochi giorni dopo questo delitto, venne uccisa nelle stesse modalità anche la prostituta Milva Malatesta insieme al figlio Mirko, di 3 anni, ex amante di Francesco Vinci.

Mostro di Firenze, cosa dice la perizia grafologica

Scrive la Cordella:

Si confronta una grafia autografa spontanea (quella della ricevuta) con una grafia controllata, in cui vengono limitati al massimo i meccanismi di ideazione spontanei. Il confronto, pertanto, deve necessariamente focalizzare tratti che sfuggono al controllo attentivo e microgesti innati del soggetto scrivente.

 

La perizia grafologica eseguita dalla dottoressa Sara Cordella
La perizia grafologica eseguita dalla dottoressa Sara Cordella

Le conclusioni a cui l’esperta (grazie alla quale sono state riaperte le indagini sul presunto suicidio del brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi nell’ambito delle indagini sull’omicidio ad Arce di Serena Mollicone) sono di “omografia”:  chi ha compilato quella ricevuta ha anche vergato a mano la lettera anonima inviata a La Nazione.

La perizia grafologica, le conclusioni

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