Quanto costa ampliare la terapia intensiva in tutta Italia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-10

La terapia intensiva richiede due infermieri dedicati, letti, medicinali, e un ventilatore polmonare per metà del ricovero. Un infermiere costa 3omila euro l’anno, un ventilatore polmonare 4000-17mila euro: solo queste due voci richiederebbero una spesa tra 3 e 8 miliardi

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Quanto costa ampliare la terapia intensiva in tutta Italia mentre il Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 imperversano? Piergiorgio Gawronsky oggi sul Sole 24 Ore fa il conto di quanto costerebbe farlo:

Stante l’elevata trasmissibilità, il Covid-19 potrebbe contagiare il 10%-40% della popolazione mondiale. Nello scenario peggiore, in Italia vi sarebbero 24 milioni di casi, e un fabbisogno di 2.880.000 ricoveri totali, di cui 1.200.000 in terapia intensiva. Il carico sul Ssn dipende da quanto concentrata nel tempo sarà l’epidemia: è possibile un picco di domanda prolungato superiore a 240mila ricoveri, di cui 100mila per terapia intensiva; con il trend attuale, questa situazione verrebbe raggiunta all’inizio di aprile. Nello scenario migliore avremmo invece: 6 milioni di casi; e un picco di 60mila ricoveri, di cui 25mila in terapia intensiva. È del tutto evidente che il Ssn non ha la possibilità di far fronte alla crisi epidemiologica: occorre potenziarlo.

Con quali costi? La terapia intensiva richiede due infermieri dedicati, letti, medicinali, e un ventilatore polmonare per metà del ricovero. Un infermiere costa 3omila euro l’anno, un ventilatore polmonare 4000-17mila euro: solo queste due voci richiederebbero una spesa tra 3 e 8 miliardi. Con altre voci, servono dai 4,5 ai 12 miliardi una tantum, finanziabili ad esempio con un’aliquota Irpef al 55% triennale sui redditi sopra i 65mila euro. Vale la pena? Sei casi gravi vengono curati in terapia intensiva, la letalità del Covid-19 è circa 0,9%: i decessi in Italia sarebbero tra i 54mila e i 216mila negli scenari considerati. In caso contrario i decessi potrebbero quadruplicare (a maggior ragione se i medici si ammalano).

misure zona protetta coronavirus
Coronavirus: le misure per la zona protetta (La Stampa, 10 marzo 2020)

L’andamento degli ultimi giorni impone inoltre un graduale cambio della strategia di contenimento: dall’isolamento degli infetti, alla protezione dei sani. Il metodo migliore è chiudersi tutti in casa aspettando che passi (modello Wuhan). Il decreto dell’8 marzo lascia invece ancora spazio ai contagi (trasporti pubblici urbani nel centro-sud, bar). I modelli epidemiologici segnalano che bloccare “i canali di contagio, salvo qualcuno” dà benefici scarsi a fronte di costi elevati; i benefici si impennano chiudendo il cerchio. Le mezze misure non sono ottimali: suggerisco di adottare l’impopolare modello Wuhan, per qualche settimana. Ma poi il conflitto con le esigenze produttive diverrà insanabile: dovremo riprendere a lavorare.

Per farlo, occorre subito investire in: protezioni individuali (in primis per il personale sanitario) e collettive; campagne informative martellanti (per modificare i comportamenti); nuove forme di lavoro flessibile. Esistono pochi studi sugli effetti economici di una pandemia globale. Secondo un modello della Banca mondiale del 2006 basato sulla pandemia “spagnola” del1918, se il contagio raggiungesse il 30% della popolazione il Pil globale scenderebbe del 3%. Ma la Sars causò in Cina un crollo del 20% del reddito disponibile. Durò solo un trimestre: il mondo trainò la Cina fuori dalla recessione. Stavolta, in assenza di risposte forti, il Pil potrebbe scendere del 3-12 per cento. Un calo del 7% in Italia porterebbe la disoccupazione al 15%, il debito al 151% del Pil, in povertà nove milioni di persone. Non ce lo possiamo permettere.

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