Mamma ho fatto un decreto: analisi psicologica del pugno di Toninelli

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2018-11-16

Siamo a Palazzo Madama nell’aula del Senato, dopo una serie di tensioni e battibecchi si vota finalmente la conversione in legge del “Decreto Genova”. La presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati ha appena comunicato il risultato della votazione, un pugno chiuso si alza contro il cielo, è il pugno del ministro Toninelli. Toninelli alza il pugno, poi …

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Siamo a Palazzo Madama nell’aula del Senato, dopo una serie di tensioni e battibecchi si vota finalmente la conversione in legge del “Decreto Genova”. La presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati ha appena comunicato il risultato della votazione, un pugno chiuso si alza contro il cielo, è il pugno del ministro Toninelli. Toninelli alza il pugno, poi applaude, batte il cinque a una persona che gli corre incontro, scuote nuovamente il pugno chiuso e riprende ad applaudire, quindi unisce i palmi delle mani in segno di ringraziamento, batte nuovamente il cinque… e poi strette di mano, abbracci e gioia a profusione. Segue una vera e propria bagarre, la sospensione della seduta, la condanna unanime delle opposizioni e l’intervento del presidente del Senato che richiama il povero ministro per comportamento non commendevole. Toninelli allarga timidamente le braccia chiedendosi cosa mai abbia fatto di male e, soprattutto, cosa diavolo significhi il termine commendevole. Tutti i media e i commentatori si affrettano a condannare l’ennesima gaffe del ministro, sottolineando soprattutto quel pugno chiuso. Il gesto è descritto come una provocazione, un inutile sfregio alle opposizioni, una mancanza di rispetto verso le vittime del crollo o un comportamento intrinsecamente violento. C’è chi fa notare con tristezza la vacuità di quel pugno, richiamando precedenti storici ben più nobili o drammatici come il pugno chiuso dei due atleti di colore sul podio alle Olimpiadi del ‘68. Ci sono sdegno, ironia e condanna unanime.


Ora, non saremmo noi a prendere le difese di Toninelli, un uomo la cui funzione principale pare essere quella di far sembrare Di Maio uno statista, ma pensiamo che in questo caso gli spietati meccanismi della comunicazione, e i suoi precedenti da recordman delle gaffe, abbiano giocato contro di lui. Non c’era violenza in quel gesto, non c’era neanche la pretesa di presentarsi come un novello rivoluzionario o di sfidare qualcosa o qualcuno. Toninelli era solo felice.  Bisogna capirlo a fondo Toninelli per comprendere quel gesto. Egli è un tontolone che non sa di essere tale, è convinto di ricoprire con merito la sua carica e soffre di fronte alle continue critiche che gli piovono addosso da mesi. Per esempio, quando è stato bersagliato perché (in sostanza) aveva suggerito di costruire insieme al nuovo ponte un centro commerciale sospeso a 40 metri da terra (cosa non tecnicamente impossibile forse, ma poco opportuna), ha percepito le ironie che sono seguite come ingiuste e strumentali. Per questo invece di lasciar morire la cosa si è impuntato e ha scritto un post in cui ribadiva le sue idee e dava dell’ignorante a chi non era aggiornato sulla materia. Toninelli non ci fa, ci è. Se non si capisce questo, gli si attribuiscono una scaltrezza e un cinismo che non gli appartengono. La sua sofferenza di fronte ai continui attacchi che riceve è genuina. In lui c’è lo scolaretto che soffre perché ritiene ingiusta l’insufficienza data dalla maestra o il giovane calciatore che crede di meritare la maglia da titolare che tutti gli contestano. La conversione di quel decreto tanto contrastato diventa, quindi, la sua occasione di riscatto. È un decreto tutto suo, un decreto importante, rappresenta la possibilità di seguire le orme del suo idolo Di Maio. La conversione votata dal senato è un passaggio d’importanza psicologica fondamentale nella costruzione e nel mantenimento della sua auto stima. È la conferma delle sue capacità che potrà sbattere in faccia a chiunque lo critichi. Non guardate a quel pugno come a un gesto di cattivo gusto, pensatelo come ad un grido. È il grido del bambino che ha preso un 6 nel compito di matematica o che ha fatto goal nella finale del torneo. Dal punto di vista psicologico Toninelli stava solo gridando: “Mamma ce l’ho fatta, ho fatto un decreto, sono stato bravo vero?”

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