Opinioni
Piero Ostellino lascia il Corriere della Sera
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2015-01-21
Piero Ostellino lascia il Corriere della Sera e va al Giornale. Alla base del divorzio, come scrive Prima Comunicazione, c’è la decisione di un taglio al compenso per la sua la comunicazione collaborazione, come è avvenuto per gli altri editorialisti: «A niente è servito il tentativo del direttore Ferruccio de Bortoli per trattenerlo e Ostellino […]
Piero Ostellino lascia il Corriere della Sera e va al Giornale. Alla base del divorzio, come scrive Prima Comunicazione, c’è la decisione di un taglio al compenso per la sua la comunicazione collaborazione, come è avvenuto per gli altri editorialisti: «A niente è servito il tentativo del direttore Ferruccio de Bortoli per trattenerlo e Ostellino ora scriverà per il Giornale che gli ha assicurato il trattamento economico richiesto». Ostellino, che aveva di recente scritto un editoriale molto discusso sui fatti di Parigi, lascia così la Rizzoli dopo 48 anni di servizio e 3 anni alla guida di via Solferino, dal 1984 al 1987.
Tra le tante opere d’arte di Ostellino al Corriere negli ultimi anni, ricordiamo quando ricevette quattro lettere di smentita per il suo articolo in cui illustrava “a modo proprio” l’innocenza di Paolo e Silvio Berlusconi in merito alla pubblicazione delle telefonate di Piero Fassino e Giovanni Consorte trafugate da Palazzo di Giustizia: questa è quella di Massimo Meroni.
Pur essendo consapevole che il Corriere ha già pubblicato tre interventi in ordine alla sentenza del Tribunale di Milano avente a oggetto la pubblicazione su il Giornale della conversazione telefonica intercettata dell’on. Fassino (vicenda cosiddetta Unipol), sono costretto a intervenire ulteriormente in quanto soprattutto il secondo articolo di Piero Ostellino (Corriere, 15 giugno) contiene affermazioni non veritiere e offensive della reputazione dei magistrati che si sono occupati della vicenda, tra cui il sottoscritto, che in qualità di sostituto procuratore della Procura di Milano, aveva condotto le indagini preliminari quasi fino al termine. Ostellino, rispondendo alla lettera del dott. Magi «Paolo e Silvio Berlusconi non hanno divulgato un segreto d’ufficio bensì hanno pubblicato su un giornale un segreto d’ufficio divulgato da qualcun altro; segreto uscito chissà come da Palazzo di Giustizia e della cui divulgazione io mi preoccuperei», insinua che la Procura si sarebbe volutamente interessata solo della pubblicazione della notizia in quanto a carico dei fratelli Berlusconi e non di chi e come l’abbia fatta pervenire al quotidiano; dalla lettura degli atti processuali il giornalista avrebbe invece potuto apprendere che era stato accertato che l’ad di Rcs, società incaricata dalla Procura di Milano di effettuare le intercettazioni telefoniche in quel procedimento, e quindi, in tale veste, incaricato di pubblico servizio con possibilità ovviamente di conoscere il contenuto delle conversazioni intercettate, chiedendo in cambio un sostegno al presidente del Consiglio per la positiva conclusione di un affare di Rcs in Romania, aveva fatto ascoltare, grazie alla mediazione di un amico e ex socio di Paolo Berlusconi, la telefonata in questione a Silvio Berlusconi e quindi l’aveva consegnata a Paolo Berlusconi che, in qualità di editore, l’aveva fatta pubblicare su il Giornale.
Ostellino, scrivendo «azzardo un altro giudizio personale: che ci sia segreto d’ufficio e segreto d’ufficio a seconda di chi ne trae profitto … non mi risulta che organi di stampa specializzati nel pubblicare segreti d’ufficio usciti, chissà come, da Palazzo di Giustizia, e dannosi per la reputazione di Silvio Berlusconi siano stati condannati come lo sono stati Paolo e Silvio Berlusconi; a me questa differenza tra i segreti d’ufficio ricorda i processi staliniani degli anni Trenta», insinua che la Procura e in particolare il sottoscritto (che, come detto, aveva condotto buona parte delle indagini preliminari) si comportino diversamente a seconda di chi siano le persone danneggiate dal reato di rivelazione di segreto d’ufficio; premesso innanzi tutto che il procedimento in questione non è stato ovviamente aperto d’ufficio ma, come risulta chiaramente dagli atti processuali, è stato aperto solo dopo che il suddetto amico di Paolo Berlusconi, al quale, a suo dire, erano state promesse ricompense per il favore fatto a Silvio Berlusconi, non avendo ricevuto nulla e trovandosi in difficoltà finanziaria, ha dapprima cercato di ricattare, attraverso l’avv. Ghedini, Silvio Berlusconi e poi, non avendo ottenuto nulla, ha cercato di vendere la notizia innanzi tutto a giornalisti di quotidiani ritenuti a quello ostili (Il Fatto Quotidiano e L’Unità), che però nulla hanno pagato e nulla hanno pubblicato, e quindi a un parlamentare (individuato quale avversario politico di Silvio Berlusconi), il quale ha correttamente presentato un esposto alla Procura di Milano, è evidente quindi che a fronte di una comunicazione di notizia di reato così precisa e circostanziata la Procura (in questo caso io, visto che il procedimento era stato assegnato a me) non avrebbe certo potuto archiviare l’esposto; inoltre l’affermazione che presunte rivelazioni di segreto d’ufficio in danno di Silvio Berlusconi non siano state perseguite, per essere credibile, dovrebbe essere precisata, si dovrebbe cioè indicare a quali specifici fatti si riferisce: solo così si potrebbe verificare se in questi casi la Procura è stata effettivamente colpevolmente inerte; per quanto mi riguarda, quello in questione è l’unico caso di rivelazione di segreto d’ufficio di cui mi sia capitato di occuparmi, quindi non posso certo essere accusato, come Ostellino indirettamente fa, di aver usato due pesi e due misure così da giustificare la gravissima conclusione che «questa differenza tra i segreti d’ufficio ricorda i processi staliniani degli anni Trenta».