Perché non si può votare a giugno

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2018-05-01

Luigi Di Maio ha chiesto a Salvini di accordarsi per riportare al più presto il paese alle urne. Ma ci sono alcuni ostacoli “tecnici” all’ideona del candidato premier M5S. In più c’è il problema della legge elettorale. E il rischio di un nuovo stallo

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Luigi Di Maio ha proposto ieri a Matteo Salvini di andare a votare a giugno per fare il famoso “secondo turno” delle politiche con un ballottaggio “virtuale” con il centrodestra su chi avrà la maggioranza. In realtà non c’è nessuna certezza che un ritorno al voto con il Rosatellum porti qualcuno ad avere una maggioranza chiara: questo succederebbe soltanto nel caso di un balzo in avanti di una delle due forze politiche che sono arrivate a sfiorare la maggioranza. E visti i risultati dei voti in Friuli e in Molise è più probabile che la maggioranza, almeno in una delle due camere, diventi appannaggio del centrodestra.

Perché non si può votare a giugno

Ma soprattutto è piuttosto difficile portare il paese alle urne nei prossimi tre mesi per tutta una serie di ragioni tecniche che partono dalla legge elettorale. Per votare l’ultima domenica del mese prossimo, ovvero il 24 giugno, la finestra si chiude il 9 maggio perché per legge il decreto che fissa le elezioni deve essere pubblicato “non oltre il 45esimo giorno antecedente quello delle votazioni”. Tuttavia, formalmente quella finestra sarebbe già chiusa. Il regolamento applicativo per il voto degli italiani all’estero fissa i primi adempimenti 60 giorni prima delle urne. C’è infatti da segnalare che la legge sul voto per gli italiani all’estero dice “entro il sessantesimo giorno”.

votare a giugno

Il che letteralmente significa che l’elenco degli italiani residenti all’estero può essere fornito anche prima della scadenza dei sessanta giorni, ma quell’articolo è stato fatto modificare proprio perché la precedente scadenza (di trenta giorni) era stata difficile da soddisfare nelle elezioni precedenti. È invece tecnicamente andare a votare a luglio, agosto o settembre ma in questi anni si è sempre evitato di utilizzare i mesi estivi per il voto perché l’estate scoraggerebbe l’affluenza.

Il voto a ottobre unica via?

Ugo Magri sulla Stampa ricorda il precedente del 1976, quando tra decreto di scioglimento e urne passarono appena 50 giorni. Ma a quell’epoca non esisteva il voto degli italiani all’estero, con annesse complicazioni. Il Dpr 104/2003 stabilisce che le liste dei nostri connazionali vadano comunicate dal ministero dell’Interno a quello degli Esteri almeno 60 giorni prima del voto. Cambiare il Dpr è sempre possibile: basta che il governo ne sforni un altro, salvo scatenare in seguito un caos di ricorsi. Più facile scivolare al 1° luglio, oppure all’8 successivo.

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I flussi di voto in Friuli (Il Messaggero, 1 maggio 2018)

Il voto a ottobre non è quindi l’unica via ma è quella più praticabile. E nel frattempo che si fa? Mattarella potrebbe varare un esecutivo “tecnico” di breve o brevissima durata che accompagni il paese alle urne mentre i partiti cercano un accordo per cambiare la legge elettorale e introdurre correttivi maggioritari più ampi al Rosatellum oppure, come ha proposto Matteo Renzi ma sembra di difficile attuazione vista la sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum, introdurre un ballottaggio tra i primi due.

Una nuova legge elettorale 

Tra quelli che chiedono il doppio turno c’è il professor Roberto D’Alimonte, che aveva già spiegato all’epoca che con il Rosatellum sarebbe stato tecnicamente impossibile arrivare a una maggioranza certa con i numeri dei sondaggi dell’epoca, come poi si è puntualmente verificato:

«In questo contesto tripolare abbiamo bisogno di secondi turni. Cioè dobbiamo chiedere agli elettori di esprimere una seconda preferenza e quindi dare a loro la possibilità di scegliere ‘direttamente’ il governo del paese».

Non è però soltanto una questione di volontà politica, c’è anche una sentenza della Consulta sull’Italicum di cui dover tener conto. Si può superare e come?
«Prima di tutto è una questione di volontà politica perché i partiti si chiedono subito cui prodest. E se giova a qualcuno più che a un altro non se ne fa niente. Le opzioni sono due: o un sistema simile a quello francese, con i collegi, o uno simile all’Italicum, cioè di lista. Si potrebbe partire dall’impianto della legge
Mattarella e inserirvi il secondo turno. Oppure riprendere in mano l’Italicum e costituzionalizzarlo introducendo il ballottaggio di coalizione. Poi c’è un profilo istituzionale».

rosatellum simulazioni
Fonte: cise.luiss.it

Cioè?
«Sarebbe meglio avere una Camera sola che dà la fiducia. In un sistema maggioritario è una follia che ce ne siano due, peraltro con due elettorati diversi. Sarebbe preferibile introdurre un sistema a doppio turno avendo modificato la Costituzione per eliminare il bicameralismo paritario». (Il Messaggero, primo maggio 2018)

Insomma, il punto è sempre lo stesso: servirebbe una nuova legge elettorale ma è probabile che qualsiasi opportunità venga bloccata dai veti incrociati dei partiti. Il rischio è che si torni al voto per trovarsi in un nuovo stallo.

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