Perché mi tocca (a malincuore) dare qualche ragione a Davigo

di Elio Truzzolillo

Pubblicato il 2020-06-01

Ha destato scalpore e scandalo la frase pronunciata a Piazza Pulita da Piercamillo Davigo qualche giorno fa: “L’errore italiano, secondo me, è stato quello di dire sempre aspettiamo le sentenze”. Devo premettere (a mo’ di scusa un po’ codarda) che ho una consolidata antipatia per Davigo. Mi ritengo, giusto per usare le solite usurate etichette, …

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Ha destato scalpore e scandalo la frase pronunciata a Piazza Pulita da Piercamillo Davigo qualche giorno fa:

“L’errore italiano, secondo me, è stato quello di dire sempre aspettiamo le sentenze”.

Devo premettere (a mo’ di scusa un po’ codarda) che ho una consolidata antipatia per Davigo. Mi ritengo, giusto per usare le solite usurate etichette, un “garantista” e considero Davigo un impenitente “giustizialista”. Tendo quindi a essere regolarmente in disaccordo con i contenuti e i toni delle sue dichiarazioni. Tuttavia la levata di scudi sui media e sui social che è seguita alle sue dichiarazioni mi ha lasciato un po’ freddino, anche se ammetto che in un primo momento mi sono lasciato andare a qualche like di troppo per una sorta di inerzia comportamentale. È una trappola in cui cadiamo tutti: se una persona dice sempre cose con cui siamo in disaccordo, è ovvio che tenderemo ad aderire alle critiche che riceve e persino allo sdegno che solleva. È ovvio, è umano ma è sbagliato. Infatti mi pare evidente che non si riferisse all’iter giudiziario ed è un pochino strumentale intenderla così.

davigo piazzapulita

L’Italia ha certamente degli aspetti che si possono ricondurre, continuo a usare etichette, a un eccesso di giustizialismo. Basterebbe ricordare l’eccessivo uso del carcere preventivo, il numero spropositato di inchieste che finiscono nel nulla, l’intollerabile durata dei processi che sono di per sé una lesione ai diritti dell’imputato, la tendenza culturale dei media dei cittadini a creare il “mostro” e la fastidiosa attitudine dei politici a cavalcare i fatti di cronaca nera per mostrarsi dalla parte del popolo, invitando la magistratura a dare pene esemplari o invocando leggi più dure. Ma l’Italia è anche (le due cose vanno insieme e non sono in contraddizione) il paese del “garantismo” peloso e ipocrita e delle furbate ampiamente tollerate. In questo senso Davigo ha ragione quando specifica:

“Se l’opinione pubblica e soprattutto la politica decidesse autonomamente sulla base degli elementi non controversi… “.

Parla della politica e cosa significa? Significa che un conto sono le sentenze che qualificano come reati determinati fatti e da questo fanno derivare determinate conseguenze, altro conto sono dei fatti accertati (se lo sono ovviamente) che dovrebbero di per sé produrre conseguenze in una società civile sana, indipendentemente se verranno qualificati come reati da un tribunale. Facciamo un esempio abbastanza estremo per capirci: immaginate che vengano alla luce foto e testimonianze che attestino che il ministro dell’interno partecipa a cene e ritrovi con noti mafiosi. Questo costituisce un reato? Non necessariamente, anzi direi che questo solo fatto non lo costituisce affatto. Capitasse a un normale cittadino non potremmo fare altro che aspettare la fine di un eventuale processo. Tuttavia immagino che saremo tutti d’accordo nel ritenere che quel ministro dell’interno dovrebbe dimettersi per il fatto in sé, indipendentemente se poi costituirà o no un reato. Anzi, indipendentemente dal fatto che un processo venga celebrato. È il fatto in sé a rendere inopportuna ed equivoca la sua permanenza in quel ruolo. Vi ricordate la vecchia è sciocca questione se un politico (o altro servitore dello stato con ruolo di prestigio) dovesse dimettersi dopo l’avviso di garanzia, la condanna di primo grado o la condanna definitiva? Tutte sciocchezze, appunto, una società civile sana deve saper riconoscere i casi in cui i fatti accertati (indipendentemente dalla qualifica che ne darà un tribunale) sono sufficienti a rendere inappropriato, indesiderabile e non consono che una persona ricopra un determinato ruolo. Per questo in alcuni stati il fatto (manifesto) di aver copiato una tesi di laurea, di dottorato o di aver barato per ottenere un ruolo in un’università, è di per sé motivo di dimissioni per un politico. Lo è anche in assenza di procedimenti penali o civili che qualificano il fatto come meritevole di sanzioni per l’ordinamento giuridico. Per questo nel nostro paese falsificare curriculum è una birichinata perdonabile (se non c’è nessun tipo di procedimento in corso perché dovrei dimettermi?). Per questo in Italia abbiamo avuto storicamente una lista impressionante di politici indagati o condannati per reati gravi ma difesi dai propri partiti e dai propri elettori con la scusa della presunzione di innocenza, anche se i fatti accertati erano già idonei a suggerire le dimissioni per questioni di opportunità.

Arrivo a dire qualcosa, sempre per esemplificare, che sicuramente mi attirerà molte antipatie nonostante io mi consideri un liberale circa i costumi sessuali. Per me era irrilevante (dal punto di vista politico) sapere se Berlusconi fosse stato o no condannato per prostituzioni minorile e concussione per costrizione (il noto caso Ruby). I fatti che erano emersi oltre ogni ragionevole dubbio (sempre indipendentemente dalla loro qualifica di reati) erano per me sufficienti a giudicare assolutamente inopportuna la permanenza di Silvio Berlusconi come presidente del consiglio. I festini reiterati con numerose giovani prostitute, il pagamento di queste per “risarcirle” dallo stress dei processi, la telefonata personale alla questura di Milano per fare liberare Ruby, la ridicola scusa di averlo fatto per evitare incidenti diplomatici con l’Egitto (ricordate? Credeva fosse la nipote di Mubarak) e altri particolari che probabilmente non varcarono mai il limite della legalità, erano di per sé idonei a rendere sommamente inappropriato che l’Italia fosse rappresentata da Silvio Berlusconi (il mondo si faceva delle grasse risate alle nostre spalle). Se Berlusconi non fosse stato padre-padrone del suo partito, sarebbero stati gli stessi notabili di Forza Italia a spingerlo o a obbligarlo a passo indietro per questioni di opportunità politica e per il bene dello stato. Per questo penso che sia vero che in determinate circostanze un paese serio non debba aspettare necessariamente la fine dei processi. Per questo penso che in Italia convivano un giustizialismo barbaro e un garantismo ipocrita, entrambi praticati a giorni alterni a seconda della parte politica interessata.

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