Perché le nomine RAI fanno crollare Netflix

di Fabio Scacciavillani

Pubblicato il 2018-07-21

Nel tritacarne informativo da cui escono le salsicce bisunte del consenso di massa, nessuno ha collegato le nomine in Rai e il crollo in Borsa di Netflix. Eventi apparentemente del tutto sconnessi, invece rappresentano i colpi di coda nella lotta per la sopravvivenza del vecchio dinosauro in via di estinzione e dell’australopiteco al capolinea del …

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Nel tritacarne informativo da cui escono le salsicce bisunte del consenso di massa, nessuno ha collegato le nomine in Rai e il crollo in Borsa di Netflix. Eventi apparentemente del tutto sconnessi, invece rappresentano i colpi di coda nella lotta per la sopravvivenza del vecchio dinosauro in via di estinzione e dell’australopiteco al capolinea del ciclo evolutivo.

Nella Rai è in pieno svolgimento l’ennesimo ciclo di lottizzazioni, in cui si sperimenta il novello manuale Cencelli del grillo-leghismo, per strapparsene i brandelli. Il pubblico è in declino inarrestabile e i giovani hanno da tempo sviluppato l’allergia alla TV. I Meo Patacca da tastiera credono che Netflix rappresenti l’avanguardia. Non a caso, forte della sua esperienza di strategie aziendali maturata alla Macchinzei della vita in agro di Pomigliano, il miracolato ha vagheggiato la Netflix alle vongole tra Mediaset e la Rai. Un po’ come se Pagine Gialle e l’Enciclopedia Treccani unissero le forze per competere con Google.
Ma Netflix è già il passato. Ha mancato le baldanzose previsioni sulla crescita degli abbonati e dopo l’annuncio in un colpo solo ha perso il 14% (recuperando in parte nei giorni successivi).

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Gli strateghi di Netflix non hanno considerato la reazione dei concorrenti, sia quelli sul web sia quelli della TV via cavo, tipo HBO. Di fronte all’attacco non sono rimasti come bradipi e hanno messo in atto le contromisure. Ma è il modello di business su cui oggi si basa la fruizione di contenuti sul video che sta per saltare come un tappo a Capodanno. Con l’espandersi della banda larga e del 5G, il digitale terrestre, il cavo e il satellite verranno bypassati. Una app (o magari più d’una) gestirà l’accesso a tutti (o molti) dei contenuti, magari attraverso semplici comandi vocali come avviene con Alexia o con Siri. Basterà dire: “Voglio vedere l’ultimo telegiornale” o il film tal dei tali o la fiction su Madre Teresa o l’evento sportivo per averli disponibile in pochi secondi sul video 4K. Persino il telecomando è destinato al museo.

In sostanza i contenuti non saranno legati necessariamente ad un canale televisivo o a un sito. Allo spettatore basterà dire “Sanremo” per collegarsi al Festival, senza dover specificare “Rai Uno”. E il Festival sarà in diretta concorrenza non più con l’offerta dgli altri canali televisivi, ma con tutto ciò che è disponibile in rete, dalle web radio ai podcast, dai documentari di nicchia alla produzione Sky, dal film di repertorio alla partita di calcio in Germania. Sarà il prodotto a farla da padrone mentre la piattaforma su cui viene distribuito (ammesso che sopravviva) sarà progressivamente meno rilevante.

Leggi sull’argomento: Cosa c’è nell’indagine su Paolo Savona

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