Pensioni, riforma solo a costo zero

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-09-08

Le ipotesi sul tavolo per la flessibilità nella previdenza: in pensione solo chi è esodato o disoccupato?

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Dopo lo stop di Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi torna sulle ipotesi di riforma delle pensioni già ventilate nei giorni scorsi dal suo ministro del Lavoro Giuliano Poletti sottolineando che il provvedimento sarà a costo zero. Ovvero, spiegano i tecnici del ministero, l’introduzione del principio di flessibilità in uscita ha un costo dovuto al fatto che l’INPS dovrà pagare un numero di pensioni maggiori anche se di importo minore. Il problema è quindi finanziare quella fase iniziale. Da qui l’idea del costo zero nella riforma.

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Quando si va in pensione (Il Messaggero, 8 settembre 2015)

Spiega oggi Il Messaggero:

Sul tavolo del governo si fronteggiano sostanzialmente due proposte. La prima è quella firmata dal sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta e dal presidente della Commissione lavoro Cesare Damiano. Questa proposta prevede la possibilità di anticipare la pensione fino a 62 anni, pagando per ogni anno di anticipo una penalizzazione del 2%. Secondo le stime dell’Inps questo schema avrebbe un costo insostenibile per le casse dello Stato: 8,5 miliardi. Damiano e Baretta contestano il dato sostenendo che in realtà l’esborso sarebbe meno della metà. Comunque si sono detti disponibili a rivedere le penalità, ipotizzando un sistema crescente che, alla fine, comporterebbe mediamente una penalizzazione del 3,5% per anno. Su questa impostazione, come detto, c’è lo scetticismo del presidente dell’Inps Tito Boeri.Che,a sua volta,ha già messo nero su bianco una proposta e l’ha inviata al governo. N
ello schema Boeri, che lui stesso ha ribattezzato «flessibilità sostenibile», si potrebbe lasciare il lavoro in anticipo ma con un ricalcolo con il sistema contributivo dell’assegno. Secondo i sindacati, che vedono questa proposta come il fumo negli occhi, si rischierebbe un taglio delle pensioni di oltre il 30%. Boeri sostiene il contrario, che la riduzione dell’assegno non andrebbe oltre il 3-3,5% per ogni anno di anticipo. La fase iniziale della flessibilità, nell’impostazione di Boeri,verrebbe finanziata da una «armonizzazione» dei tassi di rendimento garantiti ai contributi. Significa che le gestioni, come quella dei ferrovieri, dei telefonici, degli elettrici, che hanno trattamenti migliori, si vedrebbero tagliate le loro prestazioni. Tecnicamente ineccepibile, politicamente impraticabile: verrebbe subito bollato come un taglio delle pensioni.

E allora che fare? L’ipotesi del governo è permettere la flessibilità in uscita solo a coloro che non hanno il lavoro, o perché sono esodati o perché disoccupati. In questo modo il costo potrebbe essere prossimo allo zero, perché se da una parte lo Stato permetterebbe di andare prima in pensione, dall’altro non dovrebbe più versare contributi figurativi o pagare assegni di disoccupazione.

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