Come le indagini di Patronaggio su Carola Rackete potrebbero aiutare la Sea Watch

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-07-02

Il procuratore capo di Agrigento ha manifestato l’intenzione di appurare se effettivamente la Libia possa essere considerata un porto sicuro (come sostiene il Viminale) oppure se hanno ragione le Ong, la Commissione Europea e il nostro ministro degli Esteri che dicono che i migranti non possono essere riportati a Tripoli. La Procura intende anche indagare sulle capacità dei libici di presidiare la zona SAR in maniera efficace. Se la risposta dovesse essere negativa allora ci sono buone possibilità che non si proceda per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

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«Questo atto è stato ritenuto da noi fatto con coscienza e volontà, abbiamo ritenuto non si trattasse di un’azione necessitata, cioè non c’era uno stato di necessità. Perché la Sea Watch aveva ricevuto nei giorni precedenti assistenza medica. Per cui nel caso del divieto imposto alla Sea Watch di attraccare non si trattava di uno stato di necessità». Così ieri il procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio che ha in mano il fascicolo d’indagine a carico di Carola Rackete. La versione della capitana è diametralmente opposta «ho agito per necessità entrando in porto, sinceramente ero convinta che la motovedetta si sarebbe scansata».

Le due versioni sullo “schiacciamento” della motovedetta della Guardia di Finanza

Secondo Patronaggio invece la comandante della Sea Watch «ha invece svolto una manovra azzardata con i motori laterali che ha prodotto lo schiacciamento della motovedetta sulla banchina: un atto fatto con coscienza e volontà». La Procura si basa su un’informativa della Polizia secondo la quale la nave della Ong avrebbe azionato le eliche laterali sulla fiancata destra mentre accostava a sinistra alla banchina producendo lo “schiacciamento” (non si parla di speronamento come nelle prime ore) della motovedetta della Guardia di Finanza.

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Secondo la Rackete i fatti si sono svolti diversamente: dal ponte di comando non vedevo bene la motovedetta dei finanzieri, e quando mi sono accorta che era alla banchina ho provato ad evitare la collisione spingendo la mia nave in avanti. Ma era troppo tardi».

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A giugno 2019 sono sbarcati in Italia 1.218 migranti

Non ci sono però solo le accuse per i reati di rifiuto di obbedienza a nave da guerra, resistenza o violenza contro nave da guerra e navigazione in zone vietate. Il punto principale delle accuse a carico di Carola Rackete è quello che riguarda il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Tutto passa per l’accertamento o meno dello “stato di necessità”. Qualora la Rackete avesse agito per necessità allora interverrebbe la scriminante dell’articolo 54 del Codice Penale che prevede che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Le indagini di Patronaggio sui porti sicuri in Libia e la SAR libica

«Si discuterà se il salvataggio dei migranti è stato effettuato per stato di necessità» ha dichiarato il Pm Patronaggio che ha intenzione di verificare «se i porti libici sono sicuri, se la zona Search and Rescue libica è efficacemente presidiata dalla guardia costiera libica, se vi sono stati contatti tra i trafficanti di esseri umani e la Sea-Watch». E potrebbe essere proprio da queste indagini che potrebbero emergere elementi a discarico della posizione dell’indagata e della Ong tedesca. Cosa succederebbe infatti se la Procura accertasse che la Libia non è un porto sicuro? A confermarlo nei giorni scorsi era stato anche il ministro degli Esteri italiano Moavero Milanesi: «la definizione di porto sicuro viene dalle convenzioni internazionali, queste condizioni per la Libia non ci sono». Una posizione che è la stessa della Commissione Europea: «non considera i porti libici come porti sicuri ed è la ragione per la quale nessuna nave battente bandiera europea può sbarcare dei migranti nei porti libici». L’unico a pensarla diversamente è per ora solo il Ministero dell’Interno di Matteo Salvini.

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La comunicazione con cui la Guardia Costiera libica assegna alla Sea Watch il POS di Tripoli

La questione è della massima importanza per il caso Sea Watch perché fu proprio la guardia costiera libica – in quanto responsabile della zona SAR dove è avvenuto il soccorso dei 53 migranti – ad assegnare Tripoli come place of safety. Un ordine che la Ong ha deciso di disattendere poiché la Libia (un paese in guerra dove non vengono rispettati i diritti umani dei migranti) non può essere considerato un luogo sicuro per eventuali richiedenti asilo. Patronaggio con le sue indagini potrebbe assestare un colpo decisivo anche alla farsa dell’area SAR libica.

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È noto infatti, da numerosi episodi tra cui quello che vide protagonista una nave della Marina Militare italiana, che le motovedette libiche agiscono tutt’altro che tempestivamente. Ci sono diversi elementi che possono portare a dire che la zona SAR gestita dalla Libia (o meglio, dal governo di al-Sarraj) è illegittima perché presidiata in maniera inadeguata. E non solo la GC libica non è in grado di operare i soccorsi in maniera tempestiva ma addirittura non è in grado di farlo in maniera autonoma dal momento che per le attività di coordinamento viene “coadiuvata” da assetti navali italiani presenti in Libia. Sul fatto che la zona Search and Rescue non sia presidiata in modo efficace pesa anche il numero dei decessi dei migranti in proporzione ai tentativi di effettuare la traversata sono aumentati rispetto allo scorso anno a fronte di una diminuzione delle partenze.

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