Pasta alla gricia

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2019-10-30

Dimmi quello che mangi e ti dirò la tua storia. Oggi son stato a Roma con un trasteverino, imprenditore informatico alle prese con le follie burocratiche del MIUR. Per consolarci siamo andati a pranzo in un ristorante a caso. La vera cucina romana la si può gustare solo a Roma. Abbiamo scelto la pasta alla …

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Dimmi quello che mangi e ti dirò la tua storia. Oggi son stato a Roma con un trasteverino, imprenditore informatico alle prese con le follie burocratiche del MIUR. Per consolarci siamo andati a pranzo in un ristorante a caso. La vera cucina romana la si può gustare solo a Roma. Abbiamo scelto la pasta alla gricia. La sua origine è probabilmente svizzero-romana. Secondo questa ipotesi (ma ce ne sono altre), il nome di questa pasta deriva dalle guardie svizzere che provenivano dal Cantone dei Grigioni (da cui il nome gricia). I parenti lavoravano nei forni come panificatori. Siccome di fronte ai forni faceva caldo, vestivano alla tirolese (pantaloni corti, camicia e bretelle) da cui l’espressione trasteverina “vestirsi alla gricia”. I forni erano anche osterie alla buona e cucinavano questo tipo di pasta con strutto, speck e pecorino. Siccome i vinai venivano da Amatrice e lo speck era difficile a trovare, ad Amatrice si elaborò il piatto con l’olio al posto dello strutto, il guanciale al posto dello speck (sostituzione già fatta con il piatto della gricia) e l’introduzione del pomodoro e dellaa cipolla. L’amatriciana era nata. L’ultimo tocco è stato dato dalla mitica Sora Lella con piccole variazioni sul tema. Per i Romani doc la vera ricetta dell’Amatriciana è quella elaborata da Sora Lella. Per la Carbonara dobbiamo aspettare invece la fine della guerra (di sicuro non esisteva la Carbonara fino alla II guerra mondiale, non c’è traccia in nessun libro di cucina). Con l’arrivo degli Americani, nei momenti subito dopo la fine della guerra, i romani utilizzarono quello che c’era mischiando tutto: bacon e uova. Inoltre il pepe era diventato una spezia disponibile e a buon prezzo e fu utilizzata sia per la pasta alla gricia che per i suoi discendenti diretti (amatriciana e carbonara).

gricia
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Altra pasta povera è il famoso cacio e pepe: pasta, pecorino e pepe. Bisogna cuocerla con poca acqua e amalgamare bene il formaggio per evitare che il formaggio si raggrumi creando effetto colla. L’evoluzione “ricca” del cacio e pepe sono le fettuccine al doppio burro note in tutto il mondo come fettuccine all’Alfredo. Secondo la leggenda è stato un piatto inventato da Alfredo Di Lelio a Roma nel 1914. La moglie, incinta, era inappetente e lui inventò un piatto molto nutriente e goloso: fece una variante del cacio e pepe preparando fettuccine fatte a mano, condite con molto burro e tanto parmigiano, mantecate con l’acqua di cottura fino a diventare una crema. Le fettuccine devono essere mangiate subito, altrimenti, ancora peggio del cacio e pepe, diventano una colla informe. Da allora le fettuccine al doppio burro entrarono a far parte del menù del ristorante. Venti anni dopo, Mary Pickford e Douglas Fairbanks, a Roma in viaggio di nozze, si innamorroano di questo piatto. In segno di gratitudine regalarano ad Alfredo un coppia di posate d’oro. Da allora, secondo tradizione, la pasta si può girare solo con posate d’oro, materiale “nobile” che permette di mantecare meglio le fettuccine. Grazie a questa coppia di americani le fettuccine Alfredo hanno conosciuto negli USA una fortuna della quale non vi è traccia del nostro Paese se non, apunto, al ristorante Alfredo.


Ma la cucina romana non si limita alle paste. La cucina trasteverina è nata povera. Ai macelli i quarti di buoi erano riservati ai ceti ricchi: ossia nobili e preti. Al popolo rimaneva solo il così detto Quinto Quarto. Ossia le frattaglie che non facevano parte dei quattro quarti nobili. Da qui i grandi piatti della tradizione romana, trippa alla romana, rigatoni alla pajata, coda alla vaccinara, cervello fritto, coratelle, fegato. Nelle osterie romanesche di Trastevere è tutto un tripudio di frattaglie. Come verdure sicuramente la cucina romana punta sulla cicoria ripassata e i carciofi sia nella versione romanesca (mammole cucinate con la mentuccia e aglio) che nella versione della comunità giudaica (carciofi cucinati originariamente in occasione del Kippur, doppiamente fritti fino a fargli assumere la forma di fiori croccanti). Gli ebrei sono legati anche a un altro classico della cucina romana: l’abbacchio alla scottadito. Gli abbacchi originariamente erano infatti destinati alla mensa dei giudei e a quella dei meno abbienti, perché la loro carne era considerata di basso livello. Insomma il MIUR può far penare con la sua burocrazia allucinante, ma basta andare a tavola in una osteria a caso di Trastevere (possibilmente dove non ci sono troppi turisti) per diventare “romano” e quindi accettare con sopportazione, mangiando e bevendo, le inefficienze del governo della città.

 

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