Come Paolo Savona ha cambiato idea sull’euro

di Lucio Di Gaetano

Pubblicato il 2018-05-24

Il professore candidato al ministero dell’Economia nel governo Lega-M5S passa per “euroscettico” della prima ora. Ma è davvero così? E come la pensava fino a qualche tempo fa colui che oggi sostiene che la BCE altro non sia che lo strumento per la realizzazione del “piano Funk”?

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Interviste, fondi, lettere al direttore, c’è un po’ di tutto nella florida produzione pubblicistica di Paolo Savona prima che diventasse “No-Euro”, prima che svelasse il “complotto tedesco per colonizzare l’Europa con la moneta”, prima che si accorgesse che la BCE altro non è che lo strumento per la realizzazione del “piano Funk” . Ed è davvero difficile collezionare l’incredibile messe di articoli, ispirati alla più becera e ottusa ortodossia monetaria, partorita dall’autorevole economista prima che venisse illuminato sulla via di Savona e cominciasse ad accreditare teorie economiche efficaci come il metodo Stamina. Ma d’altronde vi risulta esista, nel 2018, un sistema più efficace per prendere i big like e candidarsi come possibile ministro 25 anni dopo il Governo Ciampi che spararla grossa dal pulpito dell’internet?

Come Paolo Savona ha cambiato idea sull’euro

In effetti no, nell’epoca dell’uno vale uno, della politica ridotta a chiacchiera da bar, dei ministri improvvisati e dei 31enni senza competenze che “fanno la storia”, non c’è da meravigliarsi. E dunque non meraviglia il fatto che tutti gli illustri intellettuali del sovranismo nei quinquennio 92-97 quando si prendevano le decisioni sulla moneta unica fossero tutt’altro che rivoluzionari, fossero anzi perfettamente inseriti nel pensiero economico monetarista ortodosso e tacessero sui “danni dell’euro” che dovevano poi scoprire nell’epoca di Paolo Barnard, Claudio Borghi e Alberto Bagnai.

Un esempio su tutti: avrete senz’altro sentito parlare di Euro come “strumento per attuare la deflazione salariale”, come “macigno gettato dalle élite sulle spalle del popolo ignaro”. Beh per Savona nel 2000 questo non solo non era un problema, ma addirittura un’opportunità. In una lettera al Direttore del Corriere della Sera del 13 maggio 1999, il professore si lamentava del fatto che: “la debolezza dell’euro sul dollaro” alterasse “le condizioni di una corretta concorrenza sul mercato globale riducendo la pressione sui governi e i sindacati per modificare le condizioni …. che ostacolano la crescita del reddito e dell’occupazione”.

Mannaggia all’euro troppo debole

Non c’è che dire: Jens Weidmann – e con lui tutti gli ordo-liberisti – sarebbe orgoglioso di un “tecnico” senza peli sulla lingua che dice chiaramente che l’euro non funziona bene; ma non (come dice Bagnai e oggi anche Savona) perché è sopravvalutato, ma perché lascia questi pigri governi levantini e i noiosissimi sindacalisti italiani liberi di cazzeggiare e strapagare gli operai. Ancora, domenica 2 gennaio 2000, sempre sul Corriere, Savona tornava con un editoriale a lagnarsi dell’Euro troppo debole, sfotteva politici e banchieri centrali rei di ripetere che l’euro “era una moneta forte” quando lui (col solito senno di poi) aveva già capito tutto e invocava, addirittura “più poteri alla Banca Centrale”. Quella Banca Centrale che oggi, epigona nientemeno dei governi nazisti, ci vuole così male.

Ma non basta. Gli archivi di Repubblica riportano una posizione di Savona del 1996 (quando si discuteva il concambio lira/marco in base al quale sarebbe stato deciso poi il cambio lira/euro) con la quale il futuro ministro gialloverde invocava di apprezzare la Lira e cambiarla a 950£/1dm invece che 1000£/1dm e avere così una valuta più forte. La Stampa dell’8 settembre 1997 riporta poi – nel contesto del dibattito avviato da Rudy Dornbush sulla data più opportuna per avviare la moneta unica – un’opinione dell’epoca di Savona per il quale l’Euro doveva essere “vicino, vicinissimo” se possibile “addirittura anticipato”.

La conversione sulla via di Savona

Una costante nel pensiero savoniano però la ritroviamo anche vent’anni fa: l’amore per il komblotto. Andando a frugare sempre nell’archivio di Repubblica, troviamo una dichiarazione del settembre 1997 (4 anni e mezzo prima dell’introduzione della moneta unica) quando Savona avvertiva che “le sorti dell’euro resteranno incerte sino all’ultimo momento” poiché “una bufera monetaria voluta da gruppi di potere ostili all’integrazione monetaria” sarebbe in grado di far naufragare il progetto. Saranno gli stessi oscuri gnomi che oggi complottano contro la Nazione Sovrana? (Speriamo che Mattarella glielo chieda). Insomma non solo quando contava davvero qualcosa Paolo Savona si guardava bene dal rompere le scatole a politici, economisti, banchieri che lavoravano per introdurre la moneta unica, ma si diede da fare per partecipare e sostenere il processo di integrazione e, una volta introdotto il nuovo conio, si guardò bene per una decina d’anni dal criticarlo se non per il solo motivo che tendeva a svalutarsi troppo facilmente drogando la concorrenza e ingrassando le aziende europee in maniera inefficiente.

Poi nel 2012, in piena recessione, probabilmente un po’ annoiato dalla marginalità politica alla quale era stato confinato se non altro per motivi anagrafici, nasce il nuovo Savona. Il Savona che ci spiega che siamo servi della Germania, che l’Euro è il male, che abbiamo bisogno di un piano B per uscire dall’euro. Beh, ma forse su questo lo dovremmo ascoltare, lui il Piano B l’ha messo in pratica alla perfezione. Il suo.

Leggi sull’argomento: Tutti i retroscena sul “no” di Mattarella a Paolo Savona

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