La mamma “abusiva” di Paola Taverna (e il Comune che deve sgomberare)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-10-18

Ieri in Regione l’assessorato ha spiegato perché la madre della senatrice M5S deve lasciare l’alloggio ATER. In attesa del Comune di Roma

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Il Messaggero oggi torna sulla vicenda della mamma di Paola Taverna e della casa dell’ATER che occupa abusivamente, secondo il Comune di Roma, al Quarticciolo. Dopo la difesa della vicepresidente del Senato (un po’ surreale e alquanto furbetta in molti punti), in risposta a un’interrogazione di Fratelli d’Italia l’assessore alle politiche abitative del Lazio Massimo Valeriani ha aggiunto particolari sulla vicenda e ha concluso che i requisiti sono definitivamente decaduti e tocca al Comune, cioè a Virginia Raggi, sgomberarla:

La notifica alla madre ottantenne di Paola Taverna del procedimento di decadenza del diritto ad abitare nell’alloggio popolare risale al 14 dicembre del 2014. Alla signora viene data la possibilità, come previsto dalla legge, di fornire le controdeduzioni. La ragione del provvedimento? Per legge, se abiti in un alloggio di edilizia popolare, non puoi essere proprietario di un altro immobile, di un valore superiore ai 100 mila euro. E non deve esserlo «nessun componente il nucleo famigliare».

«Dalla verifica del mantenimento dei requisiti – recita la nota tecnica letta da Valeriani – si evinceva che la figlia dell’assegnataria risultava intestataria di altri immobili di uso abitativo nel Comune di Roma e in un altro Comune. La figlia dell’intestataria risulta componente del nucleo familiare, sebbene la sua residenza sia stata anagraficamente trasferita nell’immobile di sua proprietà acquistato nel 2011».

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In sintesi sempre stando alla ricostruzione dell’Ater riferita da Valeriani – la Taverna nel 2011 compra un altro appartamento e lì prende la residenza, ma risulta ancora come componente del nucleo familiare della madre e questo causa la decadenza del diritto ad abitare nell’alloggio popolare:

Come ha replicato la signora? Recita la nota: «In data 11 marzo 2015, fuori termine, vengono presentate le controdeduzioni che vertono sull’assunto che la figlia non vive più nell’alloggio dal 1998, da quando la stessa ha contratto matrimonio e che la residenza anagrafica presso uno stesso indirizzo non può essere sinonimo di coabitazione».

Sono state anche presentate le ricevute di utenze pagate nella nuova casa acquistata. Ma secondo Ater le controdeduzioni non possono essere accolte non solo perché tardive, ma perché «l’intestataria ha sempre dichiarato i redditi da lavoro dipendente e da fabbricati percepiti dalla figlia in qualità di componente del nucleo familiare».

In copertina: fotomontaggio di Socialisti Gaudenti

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