Fact checking
Pace fiscale, come è nato il complotto della manina sventato dall’Ispettore Di Maio
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2018-10-18
Nel governo i leghisti contro Di Maio: «Come ha fatto a non aver letto il testo? Forse l’ha letto e non lo ha capito. O fa finta. Questo è analfabetismo di ritorno». I grillini all’attacco del MEF ma il Carroccio risponde punto su punto: avevano letto la legge o no?
La pietra dello scandalo è l’articolo 9 del decreto sulla pace fiscale. La dichiarazione integrativa permette di sanare non solo i redditi, ma anche Iva, Irap, i contributi previdenziali e l’imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero e l’imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero. Ovvero ciò che è probabilmente frutto di evasione.
Il complotto più pazzo del mondo
Non solo: nella pace fiscale è compreso uno scudo giuridico. Viene esclusa la punibilità sia in caso di dichiarazione infedele, come di omesso versamento di ritenute e di omesso versamento di Iva. Questi tre reati non sono punibili anche nel caso le somme evase siano il frutto riciclaggio e autoriciclaggio o impiego di proventi illeciti sino alla data del 30 settembre 2019. Il diavolo si nasconde nei dettagli e infatti sono i dettagli dello scudo fiscale a far infuriare il MoVimento 5 Stelle e a costringere Luigi Di Maio alla sceneggiata principesca in quel di Porta a Porta, dove il vicepremier accusa la solita “manina” di aver aggiunto queste norme nel passaggio dal Consiglio dei Ministri al Quirinale, salvo poi essere smentito dal presidente della Repubblica che mentre la polemica monta fa sapere di non aver ricevuto alcunché.
Una volta incassata la smentita, Di Maio compie una virata eccezionale e comincia a dire che quelle norme dovranno essere stralciate dalla bozza perché altrimenti il M5S non le voterà. E il motivo dell’attacco lo spiega oggi Repubblica in un articolo di Giovanna Vitale che racconta l’esplosione dei mal di pancia interni ai grillini:
Le chat iniziano a ribollire, il nervosismo schizza alle stelle. «I condoni non erano nel programma 5S», non si tiene la senatrice Fattori: «Va bene che quando governi devi scendere a compromessi, ma mi pare stiamo scendendo un po’ troppo e su tutti i fronti». In scia la collega Nugnes: «Aspettiamo la bozza finale, ma premiare chi ha avuto comportamenti illeciti è ingiusto per chi ha sempre rispettato le regole».
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Dietro la manina scompare la verità
L’accusa, come al solito, è diretta ai tecnici del MEF e qualche esponente grillino (probabilmente i soliti: quelli che non leggono o non capiscono le leggi e accusano a vanvera) non si vergogna di esplicitarlo senza farsi nominare, come insegna la regola della #trasparenzaquannocepare che guida come una luce il cammino della Giunta Raggi a Roma. La linea, spiega ancora Repubblica, viene totalmente sconfessata dal Carroccio la linea della denuncia, del polverone, del clamore mediatico che pure qualche volta Matteo Salvini aveva coperto per tenere in piedi la baracca.
Non sanno leggere i provvedimenti, questi grillini, oppure, più bonariamente, «quando hanno visto che il loro elettorato non prendeva bene la norma hanno pensato di fare un po’ di casino», dice il sottosegretario leghista all’Economia Massimo Bitonci, autore del decreto fiscale. […]
Tre settimane fa, nel cuore del palazzo di via XX settembre, si era già avuta un’avvisaglia dell’atmosfera da lunghi coltelli e dell’imbarazzo grillino. Era apparsa sui siti una prima bozza del decreto fiscale. La viceministro Laura Castelli, raccontano, aveva subito presentato una denuncia per la fuga di notizie all’ufficio interno della Guardia di Finanza. Di contro il capo di gabinetto Roberto Garofoli, sempre nel mirino dei grillini, aveva firmato un’analoga denuncia.
Un pasticcio fuori controllo non poteva che finire così. La Lega ora tira fuori il fantasma dell’incompetenza e punta il dito direttamente contro Castelli e il sottosegretario Alessio Villarosa. Avevano letto bene la legge?
La versione del M5S (è un’accusa implicita al M5S)
Il Fatto Quotidiano invece riporta la versione del MoVimento 5 Stelle sulla vicenda, partendo dal presupposto che l’intervento del Quirinale ci sia stato anche se è stato smentito dalla presidenza della Repubblica:
L’irritazione dei 5Stelle nel momento in cui scoprono questa sorpresa dalle agenzie di stampa è massima e il dito, sia pure informa ufficiosa,viene puntato contro la Direzione generale delle Finanze diretta da Fabriza Lapecorella. L’ennesima “manina”, dicono i 5Stelle, viene da lì. Solo che stavolta gli uffici ministeriali vengono bacchettati, sia pure indirettamente, dallo stesso Quirinale che invita il ministero a rimuovere quella norma.
Fonti dell’alto Colle romano, infatti, fanno sapere al Fatto di aver “chiesto di modificare le parti sulle depenalizzazioni ”pur non sapendo “come le modifiche saranno effettuate”. E le attenzioni del Quirinale non si sono limitate ai reati, gravi, cioè il riciclaggio e l’uso illecito di denaro,ma anche a quelli di dichiarazione fraudolenta e infedele che pure vengono depenalizzate dal decreto. Dopo le dichiarazioni di Di Maio una nota dagli uffici di Sergio Mattarella assicura che il testo non è mai giunto al Presidente. Ma l’intervento del Quirinale c’è stato
Se questa ricostruzione fosse vera, questo sarebbe la plastica dimostrazione dell’evidente attenzione del presidente della Repubblica Mattarella nei confronti delle norme e della contemporanea incapacità e incompetenza del MoVimento 5 Stelle, che non è stato capace di fare in consiglio dei ministri quello che il Quirinale ha fatto soltanto leggendo una bozza. Insomma, la versione che “scusa” Di Maio per quanto detto a Porta a Porta è insieme un’accusa precisa e circostanziata al cialtronismo della classe dirigente grillina, incapace di vedere ciò che il Quirinale ha visto in un attimo.
Le battutine dei leghisti sulla competenza dei grillini
Il tutto, nei retroscena dei giornali, è condito dalle battutine dei leghisti sulla competenza dei grillini. «Come ha fatto a non aver letto il testo? Forse l’ha letto e non lo ha capito. O fa finta. Questo è analfabetismo di ritorno», avrebbe sussurrato un sottosegretario della Lega chiedendo di restare anonimo ad Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo sulla Stampa. «Quando hanno visto che il loro elettorato non prendeva bene la norma hanno pensato di fare un po’ di casino», dice invece a Repubblica il sottosegretario leghista Massimo Bitonci, autore del Decreto fiscale.
La solita manina cambia-decreti, che ieri Mara Carfagna ha riferito alla Famiglia Addams, viene così incolpata anche stavolta esattamente come all’epoca del Decreto Dignità, quando il M5S cercò di coprire dietro a un complotto l’incapacità dei suoi esponenti di scrivere una legge correttamente. Chissà fino a quando ci sarà qualcuno disposto a credergli.